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Laura Ravetto sfida la sinistra: "Fuori la cultura gender dalle scuole"

 Laura Ravetto

Pietro De Leo
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Una proposta di legge di due articoli per vietare l’introduzione nelle indicazioni nazionali e nelle linee guida di «obiettivi di apprendimento improntati sulla cultura gender». È l’iniziativa di Laura Ravetto, deputata e responsabile pari opportunità della Lega.

Onorevole, ci sarà un vespaio.
«Sono una persona ancorata nel centrodestra liberale, quindi i diritti li ho a cuore. Tant’è vero che votai per le unioni civili. Ognuno è libero di amare chi vuole...».

 

 

Però?
«Però c’è un punto fermo che dobbiamo fissare. Un conto è amare chi si vuol amare, una cosa molto diversa è pensare di poter esporre determinate teorie all’interno della scuola. Nello specifico, la teoria che professa la separazione tra identità di genere e sesso biologico. La scuola fa istruzione, mala sfera intima deve essere esclusivamente e assolutamente affidata alla famiglia. Peraltro, chi potremmo ritenere adatto nell’ambito scolastico a occuparsi di queste cose? Psicologi? Insegnanti? Per carità. Guardi, io ho una figlia di sei anni, se a 11 anni volesse dire a qualcuno che si sente uomo perché gioca tanto con le macchinine, dovrebbe parlarne con me o con suo padre, non con un insegnante o uno psicologo che non so quali convincimenti abbiano. Perché a 11, 12 anni un bambino o una bambina stanno ancora cercando la loro identità. Detto con il massimo rispetto per chi sta affrontando percorsi di transizione, mi parrebbe grave consentire a scuola delle speculazioni sulla pelle di ragazzini che stanno costruendo la propria identità».

Da dove nasce la sua proposta?
«Dalle segnalazioni di molti genitori. È vero che i programmi scolastici sono decisi con loro, ma è altrettanto vero che poi c’è una certa elasticità rispetto a ciò che si insegna o non si insegna. E visto che c’è molta discussione sulla necessità di iniziare a parlare di educazione sentimentale, con questa proposta evitiamo si vada oltre, invadendo la sfera delle famiglie».

Un’obiezione: sta legiferando su una cosa che ancora non c’è.
«Sì, ma potrebbe esserci in futuro, e infatti esiste un dibattito in merito. Se un domani dovesse vincere le elezioni il centrosinistra? Potenzialmente potrebbero introdurre questi temi. Con questa proposta fissiamo un principio. È la prima proposta di legge su questo del Parlamento italiano».

 

 

Ha sentito Vannacci? Se si riconosce giuridicamente il fatto che un uomo si possa sentire donna, allora un 50enne può chiedere un mutuo perché si sente un 20enne.
«È una provocazione intelligente. Ma se ognuno dovesse essere riconosciuto giuridicamente per quello che si sente di essere è chiaro che ci sarebbero degli effetti devastanti, soprattutto sulle politiche a favore delle donne. Quale legislatore, per esempio, farebbe più politiche per favorire l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro se chiunque può decidere di essere donna? Nessuno. Se dovessimo seguire questo principio, anche in democrazia nella preferenza di genere un uomo che si dichiari donna dovrebbe valere come seggio femminile, svantaggiando le donne».

Ha messo la proposta sui social?
«Sì, avevo fatto un post, ricevendo molti insulti. Io mi confronto spesso con attivisti dei diritti Lgbt, e non ricevo prove di rispetto verso chi la pensa diversamente. E meno male che i fascisti saremmo noi...».

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