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Enrico Letta, il primo dei ravveduti a sinistra: "Le Pen primo partito"

 Enrico Letta

Lorenzo Cafarchio
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I sogni bagnati dei progressisti d’Europa iniziano a incrinarsi. La sbornia delle elezioni francesi non è ancora smaltita che qualcuno si stropiccia gli occhi e inizia a fare i conti. E i conti non tornano. Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, intervistato dal Corriere della Sera gongola congratulandosi con Jean-Luc Mélenchon per il risultato conseguito anche se «buona parte di questo successo» è dipeso «dal sistema delle desistenze».

Benedetto sia il grande pollaio. La speranza resta e confida nel «dovere di trovare un accordo credibile con le forze riformiste e progressiste». Davanti al no pasarán blue, rosso e bianco anche il presidente del Partito Democratico è consapevole che «un conto è essere contro la destra, un altro alternativi alla destra». L’ex sindaco di Firenze e neoeletto eurodeputato nelle file del Pd, Dario Nardella, sulle colonne del Messaggero si mette in scia. Prima scomoda per la Francia la terza via italiana ovvero «un nuovo Ulivo che parta dall’apertura alla gente, alla società civile, nella costruzione di un blocco sociale largo». Lo stesso blocco che ha sbarrato la strada al Rassemblement National. La magia delle visioni rovesciate della realtà.

 

 

 

Ma la doccia resta fredda. «Il Patto popolare ha vinto ed è riuscito a bloccare Le Pen, ma è molto difficile che possa governare assieme». L’Ulivo come eterno ritorno che va da Leoluca Orlando a Gerardo Bianco passando per Massimo D’Alema. Wannabe centrismo. Altroché sinistra. Arriviamo, ora, in laguna per ascoltare la voce di Massimo Cacciari, intervistato da Concetto Vecchio per La Repubblica, il filosofo in poco più di 150 caratteri fotografa la situazione ribaltando la prospettiva intervistato/intervistatore. Prima chiede «Macron e Mélenchon potranno governare insieme?», mentre Vecchio si mostra dubbioso il fu primo cittadino veneziano risponde/domanda «e allora di che vittoria parliamo?». Di Pirro, diciamo noi. Ma alla fine che importa se «la sinistra vive». Mao insegna: «Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente».

 

 

 

Cacciari ha la visione nitida. «Se le forze anti destra non sapranno governare Le Pen la prossima volta prendere il 40 per centro. E la volta dopo il 45». Inoltre prova a prevedere la manovra di Macron. «Incarico a Mélenchon» perché se è intelligente farà così dato che il leader de La France Insoumise «non ha né i numeri né le idee per governare autonomamente, e finirebbe per andare a sbattere». Su X la disanima la chiude il grande saggio Enrico Letta appropriandosi, senza citare la fonte, di una grafica firmata Rassemblement National che mostra il vero esito delle elezioni francesi. Primo RN con oltre 10 milioni di voti (143 seggi), secondo il Front Populaire con 7 milioni di voti (170 seggi) e infine con 6 milioni e 300 mila voti (150 seggi) Ensemble. Letta ribadisce l’essenzialità della legge elettorale a due turni, ma rammenta «se non riescono a fare una coalizione forte tra centro e sinistra queste elezioni saranno il trampolino finale per Le Pen all’Eliseo». Non è neanche giorno, le luci della festa si stanno per spegnere, ma l’incubo torna a chiamare. 2027 elezioni presidenziali. La gioiosa macchina è chiamata a governare, ma la chioma bionda lepeniana resta immagine fissa negli specchietti retrovisori dei progressisti. 

 

 

 

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