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Centri migranti all'estero, 10 Paesi con Meloni: il Pd isolato in Europa

Tommaso Montesano
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Da una parte il consenso europeo sulle «soluzioni innovative», dall’altra la richiesta di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per il “modello Albania”. Accade questo sul dossier immigrazione: mentre l’Italia promuove una riunione informale a Bruxelles per illustrare il suo progetto pilota di esternalizzare la gestione dei richiedenti asilo, il Pd a Strasburgo d’accordo con il suo gruppo, quello dei Socialisti e democratici - lavora per sanzionare il nostro Paese.

Ieri mattina la premier Giorgia Meloni ha promosso un vertice tra i Paesi più interessati all’emergenza immigrazione prima dell’inizio del Consiglio europeo. Oltre all’Italia, intorno al tavolo si sono seduti i rappresentanti di Danimarca, Paesi Bassi, Austria, Cipro, Grecia, Malta, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Insieme a loro, la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, che al tema aveva già dato un’accelerata con la lettera nella quale, lunedì scorso, apriva alle «soluzioni innovative» sul tema. Soluzioni tra le quali rientra l’intesa tra Roma e Tirana, che infatti Meloni ha illustrato sottolineando l’importanza del patto «nell’azione di contrasto ai trafficanti di esseri umani».

 

 

 

Poi la discussione, informa una nota di Palazzo Chigi, è proseguita con all’ordine del giorno l’attuazione «delle regole del nuovo Patto migrazione-asilo» e la «collaborazione lungo le rotte migratorie». A riprova di quanto «l’obiettivo di rafforzare e rendere sempre più efficace la politica migratoria dell’Ue» sia in cima alle preoccupazioni dei partner. Dichiarazioni di principio poi finite nelle conclusioni del vertice approvate in serata, laddove si invita a «prendere in considerazione nuovi metodi» per prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare. E Ursula von der Leyen ha sottolineato che «per i migranti che hanno bisogno di protezione è possibile pensare a Paesi terzi sicuri, non necessariamente in Ue». Presto la Commissione presenterà una proposta sui rimpatri.

Intanto il “modello albanese”, con la sua carica di deterrenza nei confronti dei trafficanti di uomini, non solo è sul tavolo, ma è allo studio degli alleati europei come possibile modello da replicare. «Curioso notare come, mentre quasi tutta l’Europa discute delle nostre iniziative per contenere l’immigrazione irregolare, la sinistra pensi unicamente ad attaccarle in maniere inconsistente e gratuita», punge Meloni.

Il riferimento è all’atteggiamento del Pd, che invoca addirittura l’apertura di una procedura di infrazione contro Roma «per mancato rispetto dei Trattati». Richiesta veicolata attraverso la presentazione di una «interrogazione urgente» alla Commissione. Quanto alla prima parte, la presidente del Consiglio incassa l’apertura formale di un dibattito sull’esternalizzazione della gestione dei migranti. Con relative adesioni da parte di Paesi storicamente lontani, sul dossier, dall’Italia oltreché guidati da rappresentanti di diverso colore politico. Come, ad esempio, la premier danese socialdemocratica Metter Frederiksen, che a margine del Consiglio Ue conferma la necessità di «rafforzare il nostro confine esterno e rimpatriare le persone che non hanno diritto a restare in Europa. Siamo un gruppo di Paesi (oltre alla Danimarca, ci sono appunto anche Italia e Paesi Bassi, ndr) che cercano di trovare nuove soluzioni, per esempio centri di accoglienza fuori dall’Europa». Come la stessa Danimarca ha fatto nelle scorse settimane con il Kosovo, siglando un accordo che prevede di ospitare nei Balcani, per 10 anni, 300 detenuti.

 

 

 

Su questo c’è la sponda olandese. «Abbiamo bisogno di soluzioni innovative per facilitare i rimpatri e anche di una legislazione europea più stretta», conferma il premier Dick Schoof. Del resto il governo olandese si è mosso sulla linea di esternalizzare la gestione dei richiedenti asilo, nello specifico in Uganda. Obiettivo: creare un hub regionale per i migranti da rimpatriare nei rispettivi Paesi di origine. «È un’idea seria», ha confermato Schoof.

Il fronte cui allude Meloni è trasversale. Un’apertura rispetto all’adozione del “modello albanese” è arrivata ieri anche dalla portavoce del governo francese di Michel Barnier. «Perché no? Guardiamo, se funziona...», ha detto Maud Bregeon rispondendo a una domanda dell’emittente radiofonica Sud Radio. La portavoce del premier ha rivelato che il ministro dell’Interno, Bruno Retailleu, «ha detto che il modello italiano deve essere studiato. Ci sono state diverse discussioni con gli altri Paesi per vedere cosa è possibile fare». Apertura, però, sconfessata dall’Eliseo, con Macron che dice: «L’unico modello che funziona è europeo, se agiamo in modo isolato distruggiamo collettivamente gli interessi. Serve un modello europeo pragmatico ma rispettoso dei nostri valori».

A fianco dell’Italia, invece, sono Austria e Portogallo (favorevole a «meccanismi che disincentivino comportamenti irregolari», dice il premier Luis Montenegro). Più caute Grecia e Polonia. «Vediamo se funziona davvero», afferma il premier di Atene Kyriakos Mitsotakis in relazione al patto italo-albanese, che poi riconosce l’esigenza di «pensare in modo innovativo». Così le uniche contrarietà certificate restano quelle della Spagna socialista di Pedro Sanchez («un Paese che ha sparato contro i migranti...», ribatte in serata il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi) e della Germania socialdemocratica di Olaf Scholz.

 

 

 

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