Mi sta simpatico Pier Luigi Bersani. Quando parla mi mette buon umore e non solo perché mi ricorda il mitico pareggio di Silvio Berlusconi, con tanto di spazzolata televisiva alla sedia di Travaglio, alle Politiche del 2013 o il killeraggio di Romano Prodi a opera del Pd guidato da lui, per silurare due piccioni con una fava, l’ex premier e lui. Mi fa sorridere che non faccia che dire cose di sinistra, anche se la cosa migliore che ha fatto nella sua lunga vita politica in realtà sia di destra: le liberalizzazioni, quand’era ministro dello Sviluppo Economico. Con la sua segreteria il Pd perse otto punti rispetto alle elezioni precedenti, quando lo guidava Walter Veltroni, ma a sinistra lo ritengono un guru e pendono ancora dalle sue labbra. Si vede che chi è arrivato dopo ancora lo fa rimpiangere. Lui è molto compreso nella sua parte e gira l’Italia «con l’orecchio a terra», afferma, per capire meglio la gente. Ne è nato un libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), titolo datato come il personaggio e non originale come i suoi pensieri, che ha generato una doverosa intervista sul Corriere della Sera a prestigiosa firma di Tommaso Labate. Il tema?
Chiedimi se fossi stato premier... Ne emerge che non ci credeva neanche lui, visto che confessa di non essersi mai illuso che Grillo avrebbe dato il via libera al suo governo. Si consoli, non sarà il Mosé del Pd, colui che lavorò per la terra promessa dell’alleanza rossogialla ma non la vide perché il destino aveva in progetto di affidarla a qualcun altro. Neanche Elly Schlein ce la farà, e forse è meglio così anche per lei, visto che a Matteo Renzi, il solo che con maneggi parlamentari è riuscito a confezionarla, nessuno gliel’ha ancora perdonata e a Mario Draghi, che vi si prestò, è costata il Quirinale. La vera bomba però è quando Bersani confessa che, se fosse arrivato a Palazzo Chigi, la prima cosa che avrebbe fatto è un decreto legge per imporre lo ius soli, ovverosia la cittadinanza automatica a chiunque nasce in Italia, indipendentemente dalle sue origini. Erano quelli i tempi dell’esplosione dell’immigrazione illegale, con tanto di boom di naufragi e morti in mare. Erano anche i tempi di chi sull’accoglienza faceva i soldi: una ricca diaria per chi teneva nei suoi centri d’accoglienza i clandestini, senza stare a badare in quali condizioni, spesso disumane, venissero ospitati. Ma questi in fondo sono argomentazioni politiche, che non danno la misura dell’enormità rivelata.
L’ex segretario del Pd, che tutti i giorni va in tv per spiegarci quanto sia autoritario questo governo di centrodestra, che appena entrato nella stanza dei bottoni avrebbe imposto una norma tanto delicata e divisiva, di sensibilità costituzionale, tanto per intendersi. Un cambiamento di indirizzo così marcato e una decisione che ha un tale impatto sulla società che in ogni altra nazione occidentale comporta anni di dibattito pubblico ma che invece il segretario dem avrebbe imposto di forza. «Ai blocchi di partenza» spiega infatti il premier mancato, «nessuno si sarebbe assunto la responsabilità di votare contro il presidente del Consiglio su un provvedimento proposto da lui». Altro che Mosé, che ha speso la vita per dare un futuro al suo popolo. La prima cosa che avrebbe fatto Bersani come capo dell’Italia sarebbe stata cambiare il suo popolo. A quel punto, il nuovo libro era già bello che pronto, o quantomeno titolato: “Chiedimi chi erano gli italiani...”. La politica è vigliacca e traditrice: tocca perfino ringraziare Grillo.