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Compagni senza pace dal Piemonte a Kiev

Lo stato confusionale dell’opposizione diventa un evento clinico quando si parla di guerra e pace, difesa e valori delle forze armate, patria
di Mario Sechi domenica 11 maggio 2025

3' di lettura

Lo stato confusionale dell’opposizione diventa un evento clinico quando si parla di guerra e pace, difesa e valori delle forze armate, patria. Per dare un contributo all’ampia letteratura della psicopatologia politica, segnalo tre casi. Primo caso, Biella. Al raduno degli Alpini, a Biella, qualcuno canta “Faccetta nera” e subito scatta «l’allarme democratico», la vigilanza contro le falangi del regime meloniano. Così Pd e Movimento Cinque Stelle si risvegliano dal torpore e come una sentinella in garitta lanciano l’altolà antifascista. Elly Schlein alza la voce e dice che si è consumato «un insulto alla memoria», mentre gli ex grillini diventati contiani evocano con prontezza le «turpi imprese coloniali del regime in Africa». Vedere l’ombra del Duce è questione di un attimo. Il momento patriottico della sinistra è surreale, visto che con gli Alpini tutto questo non c’entra un fico secco ma, nel casino generale dell’opposizione, tutto fa brodo e così i centomila alpini che oggi sfilano a Biella diventano il bersaglio dei partigiani da salotto.

D’altronde la storia della sinistra parla da sola: la parola “patria” è sempre stata un tabù, la bandiera un problema, le parate militari un imbarazzo, le penne nere degli Alpini un fastidioso orpello nazionalista che disturba l’internazionalismo dei democratici. Secondo caso, Kiev. Emmanuel Macron, in perenne esibizione di se stesso davanti alle telecamere, si ripete e organizza un altro treno per Kiev con a bordo il premier britannico Keir Starmer e il cancelliere tedesco Friedrich Merz. Il trio instabile (Macron è senza maggioranza, Starmer è stato battuto da Nigel Farage nelle elezioni locali, Merz è un’anatra zoppa, essendo riuscito nella storica impresa di non passare al primo colpo la fiducia al Bundestag) è atteso nella capitale dell’Ucraina dal capo del governo polacco, Donald Tusk. Arrivano le foto, vibrano di piacere i campanacci dell’opposizione sull’assenza di Meloni, fioccano le domande dei giornalisti italiani all’Eliseo per avere la conferma di un mancato invito di Emmanuel a Giorgia. Tutti a bordo, Meloni a terra. Il loro cervello - annebbiato dall’antifascismo in assenza di fascismo - non viene sfiorato dal dubbio che Meloni non partecipa al vertice per segnare la distanza dalla coalizione, perché il governo italiano non appoggerà mai un piano senza un mandato dell’Onu, con chiare regole di peacekeeping, la copertura politica e militare degli Stati Uniti. Palazzo Chigi ha già fatto una sua proposta, chiarito la linea, detto ufficialmente che per la sicurezza dell’Ucraina serve una soluzione diversa, l’estensione dell’articolo 5 della Nato, ma senza un ingresso formale di Kiev nell’Alleanza Atlantica, visto che farebbe naufragare qualsiasi ipotesi di pace. La sinistra italiana è sul treno di Macron, tutti al fronte.


Terzo caso, Washington. Il presidente Donald Trump ha una strategia realista di contenimento delle dittature e di negoziato per chiudere i conflitti, per questo ha avviato una complessa trattativa con la Russia e l’Ucraina (con cui ha firmato un accordo sullo sfruttamento delle terre rare, un fatto concreto che darà a Kiev più sicurezza); cerca un patto con Teheran (nonostante lo scetticismo di Israele) per evitare che l’Iran abbia la bomba atomica; appoggia la causa del popolo ebraico e il diritto di difendere il proprio territorio, ma ha ribadito al premier Netanyahu che le guerre non possono essere senza fine; ha bombardato le milizie degli Houthi nello Yemen per fermare gli attacchi alle navi commerciali nel Mar Rosso; ha sostenuto in queste ore un’iniziativa per bloccare l’escalation tra India e Pakistan, due potenze nucleari. Gli Stati Uniti non vogliono (e non possono) impegnare il Pentagono su tutti i fronti, rischiano di tenere scoperto il quadrante del Pacifico, quello dove si muove sempre più minacciosamente la Cina di Xi Jinping. Il forcing diplomatico della Casa Bianca è nel segno della parola “pace”, ma per la sinistra italiana Trump è un fascista, un pericolo pubblico, un usurpatore e non un leader che ha vinto le elezioni nella grande democrazia americana. Biella, Kiev, Washington, cambiano i luoghi e gli scenari, ma resta sempre una domanda: compagni, dov’è la vostra pace?

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