È il maggio di tre anni fa. A Rimini è in corso la 93esima adunata nazionale degli Alpini. Parte una prima denuncia a mezzo social, poi eccone una seconda, poi una terza, fino ad arrivare a circa cinquecento segnalazioni di fischi, commenti volgari e palpeggiamenti perpetrati dalle penne nere. Il caso diventa mediatico e ci si infilano subito le transfemministe di “Non una di meno”, che organizzano persino una contro-adunata gridando al patriarcato. Pure la sinistra istituzionale soffia sul fuoco. E così gli alpini diventano tutti molestatori, se non addirittura stupratori. Peccato che due mesi più tardi la Procura di Rimini chiederà l’archiviazione dell’unica denuncia presentata formalmente. Tutto in una bolla di sapone. Fu la gogna più potente cui fu sottoposto il corpo nazionale tra i maggiormente stimati del Paese ma ovviamente non l’unica. Nel 2018, due centraline elettriche ferroviarie furono date alle fiamme a poche ore dall’adunata di Trento. In città comparvero anche scritte di chiara matrice anarchica: “Alpini assassini”, “Alpini stupratori”, “Alpino, una faccia da fiumi di vino, un cappello da lago di sangue”. Alla facoltà di Sociologia i soliti collettivi rossi occuparono un’aula studio contro le penne nere a loro dire colpevoli di “atrocità compiute nelle missioni internazionali di pace”. Polemiche furiose persino per la mostra che ricordava la missione in Russia per recuperare i corpi dei italiani caduti.
“Apoteosi di neonazionalismo”: così venne bollata l’iniziativa dagli antagonisti. Un modus operandi, quello di compagni e compagne allergici alle divise, trito e ritrito. A proposito di Biella, nei giorni scorsi, le femministe della rete “Le parole fucsia” hanno scritto una lettera aperta per chiedere di tenere lontani dalle scuole gli alpini, colpevoli di raccontare «alcune vicende della storia del nostro Paese, proponendo canti bellici, mitizzando gesta e azioni, contribuendo a rafforzare il clima sovranista e nazionalista che pare essere l’unico possibile nel nostro Paese». Il solito mantra: fascisti ovunque. I Verdi sono pure riusciti nell’impresa di contestare l’illuminazione col tricolore il monte Mucrone per salutare l’arrivo delle penne nere in occasione della 96esima adunata. «Si tratta di un inutile spreco e degradazione dell’energia che si traduce in uno spot iconico negativo di un territorio incapace di tutelare le proprie risorse naturali», hanno detto un mese fa. Rifondazione Comunista è andata addirittura ben oltre, attaccando la riproduzione dell’inno ufficiale dell’adunata biellese - “Di qui non si passa” - che esalterebbe «l’invasione nazifascista dell’Unione Sovietica». E sempre a proposito di montagne, a fine marzo, Alleanza Verdi Sinistra si era scatenata alla vista delle mimetiche a Cortina parlando di città «sotto assedio in funzione dei Giochi Olimpici». Peccato fosse un’esercitazione militare internazionale – l’operazione Volpe Bianca – che si tiene ogni anno.
Deliri in salsa rossa anche a proposito dei campi scuola promossi dall’Ana (l’Associazione nazionale alpini) per bambini e ragazzini, tra escursioni in montagna, nottate in tenda, giochi e attività all’aperto seguendo la stella polare del gruppo e della coesione. L’Assemblea permanente contro le guerre, dopo la presentazione delle attività, ha sbraitato contro «l’indottrinamento militare dei bambini» al grido di «nessuna pace per chi insegna la guerra». La colpa degli alpini è quella di voler trasmettere l’importanza della disciplina e l’amore perla comunità ai più piccoli. «Gli alpini non sono educatori, ma un corpo dell’Esercito, addestrato secondo i principi militari, gli stessi che nel loro campo estivo vogliono trasmettere ai bambini», hanno detto i finti pacifisti, descrivendo i militari come «massacratori e portatori di abusi e sofferenze in ogni conflitto».