Giorgia Meloni stringe tra le mani il vecchio manifesto dei Democratici di sinistra, col simbolo della Quercia, e la scritta in maiuscolo rosso - NON - per invitare i propri elettori a disertare le urne in occasione del referendum del giugno del 2003. Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione Comunista, voleva estendere alle piccole aziende il divieto di licenziamento previsto dallo statuto dei lavoratori. «Non votare un referendum inutile e sbagliato è un diritto di tutti: lavoratori e non», si leggeva su quel volantino. E proprio su queste parole si sofferma il presidente del Consiglio, in occasione della seconda edizione del “Giorno della Verità”: «Come ci insegna un partito serio, in Italia non votare al referendum è un mio diritto, è un diritto di tutti». E allora perché tanto rumore per il fatto che il premier non voterà? «Ho detto che andrò al seggio perché sono un presidente del Consiglio e penso sia giusto dare un segnale di rispetto nei confronti delle urne e dell’istituto referendario. Poi non condivido i contenuti dei referendum e, come sempre nella storia della nazione, quando non si condividono c’è anche l’opzione dell’astensione».
Poi parte all’attacco: «La sinistra con questi referendum chiede di abolire leggi fatte dalla stessa sinistra. Molti di quelli che li promuovono sono stati al governo negli ultimi dieci anni. Se la cantano e se la suonano da soli, come dicono a Roma. Invece di spendere 400 milioni di euro avrebbero potuto agire sui temi dei referendum in Parlamento. È una questione tutta interna alla sinistra». A proposito del quesito che propone di dimezzare gli anni necessari per richiedere la cittadinanza italiana (da dieci a cinque), Meloni non ha dubbi: «Sono contrarissima. La nostra legge è molto aperta, siamo tra le nazioni europee che ogni anno concedono il maggior numero di cittadinanze. Cosa diversa è accelerare l’iter burocratico, una volta che si ha diritto ad ottenerla. E su questo ci lavoreremo».
Dai referendum al governo. Il premier spedisce al mittente le illazioni che vorrebbero una maggioranza divisa e assicura che l’esecutivo durerà cinque anni. Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica. «La maggioranza è compatta e lavora bene: si vede dalla quantità di risposte che siamo in grado di produrre. Troppo spesso vengono raccontate cose mai accadute, che bacchetto vicepremier e ministri. Ma non faccio la maestra... Sono fiera del lavoro di Salvini e Tajani». Ma qual è il plus del governo secondo il presidente del Consiglio? «La stabilità. Quando parlo coi miei omologhi stranieri mi dicono tutti la stessa cosa, ovvero che prima era difficile lavorare con l’Italia perché cambiava troppo spesso premier. Ora invece siamo in grado di dare una strategia, di rassicurare gli investitori, di non spendere più soldi di quelli che abbiamo per avere un consenso facile ma di fare riforme strutturali».
Altro che isolamento internazionale, come ciancia da mesi l’opposizione. «Dopo la caduta dell’ultimo governo di centrodestra è passato il messaggio che l’unico ruolo possibile per l’Italia in politica dovesse essere quello di junior partner di Francia e Germania. Io, invece, sono ambiziosa: l’Italia deve ricordarsi di essere una potenza economica, fondatrice dell’Ue e della Nato, e di avere un peso e una centralità riconosciuti all’estero. Dobbiamo esserne consapevoli, non fare le ruote di scorta...», spiega Giorgia Meloni. Macron? «Lo vedo più di mia figlia». Trump? «Ci frequentiamo molto». Putin? «Ci si aspetterebbero chiari e repentini passi avanti verso la pace. Ma accade esattamente il contrario». E su Gaza? «La guerra è stata cominciata da Hamas, che è anche il principale responsabile di una guerra che continua perché si rifiuta di liberare gli ostaggi. La legittima reazione di Israele ha però assunto contorni inaccettabili: si deve fermare immediatamente tutelando la popolazione civile».
Tornando all’Italia, dopo le sceneggiate delle sinistre in Senato contrarie al nuovo pacchetto sicurezza varato dal centrodestra, il premier ironizza: «Dicono che comprimiamo le libertà ma se è libertà scippare la gente, truffare gli anziani... allora sono contenta di stare dall’altra parte. La prima libertà è la sicurezza garantita dallo Stato». A proposito di cinema, inteso come arte e non come propensione alla baracconata cara a Pd e compagni, Meloni torna sulle polemiche montate ad arte dagli attori militanti dopo lo stop ai fondi a pioggia: «Non credo fosse serio consentire che ci fossero delle produzioni che prendevano contributi pubblici milionari e al botteghino facevano solo decine di spettatori. Non mi stupisce che chi ha beneficiato di questi lauti contributi abbia attaccato il governo, qualcuno ha detto “si comportano come un clan”, ma quanti attori si conoscono di destra? Non lo dicono perché altrimenti non lavorano».