Nonostante Elly Schlein cerchi di voltare pagina e parlare di sanità, rilanciando, nel pomeriggio, i dati della Fondazione Gimbe («Quando ha finito di farsi i selfie a Palazzo Chigi Giorgia Meloni faccia qualcosa per le liste d’attesa infinite per curarsi», ha detto la segretaria del Pd), il processo per quanto accaduto nei referendum non si arresta. Continuano le analisi, le riflessioni, le critiche, le proposte, le accuse, le osservazioni. Per esempio Matteo Renzi, rivitalizzato dal fallimento della battaglia contro la sua riforma, il Jobs Act, ha tratto, ieri, la seguente morale dai risultati della consultazione: «Il referendum non ha chiarito chi deve essere il leader del centrosinistra, ma ha chiarito chi non deve essere il leader: Maurizio Landini. Nel centrodestra chi prende un voto più degli altri fa il premier, il centrosinistra faceva le primarie. Ma questo è l’ultimo dei problemi. Noi abbiamo bisogno di un centrosinistra che smetta di litigare sul niente».
E il tema della leadership, apparentemente estraneo ai referendum, in realtà è tornato con forza. Anche se nessuno lo dice apertamente, le critiche a come il Pd si è mosso, sono critiche innanzitutto alla segretaria e alla sua capacità di rappresentare un elettorato che vada oltre la sinistra-sinistra. Si torna, così, a parlare di un nuovo Romano Prodi, di un federatore. Ma esiste? Pierluigi Bersani ne vede «in giro più di uno, nomi però non ne faccio, prima devi decidere di fare un progetto ed un programma alternativo e poi vedrete che si trova». E resta alta la tensione tra Pd e M5S: «Paragonare i dati di chi ha votato alle politiche con quelli di chi ha votato al referendum», ha detto ieri Chiara Appendino, vicepresidente e deputata M5S, «a me non convince. Il dato di fatto è che non si è raggiunto il quorum e chi ci perde è l’Italia». Come restano tra Pd e M5S le distanze sul tema della cittadinanza, quesito su cui il M5S aveva dato libertà di voto. «Io», ha detto Appendino, «ho sostenuto e votato Sì», ma «il Paese non è pronto per una riforma di questo tipo, anche a causa di un’estrema propaganda fatta su un tema che è stato fortemente ideologizzato».
Mentre serve «pragmaticità e serietà». Quelle - sottinteso - che sono mancate al Pd. Pd che, nel frattempo, continua, sui giornali e sui social, l’analisi del voto e della sconfitta. In sostegno di Goffredo Bettini, che ha parlato della necessità di costruire una «tenda dei moderati», cioè un’area riformista alleata del Pd, è intervenuto il dem Roberto Morassut che, pur ricordando come «l’esistenza di una componente riformista» sia «essenziale per il Pd e per tutti», ha aggiunto che «ciò non toglie che esistano consistenti forze di ispirazione liberale, cattolico democratica e moderata» fuori dal Pd, ma disponibili a cercare «un rapporto esplicito di raccordo con le opposizioni a questo governo e di costruzione di una alleanza di governo».
I risultati del referendum, insomma, rilanciano la necessità di rafforzare la componente moderata del centrosinistra. Che, evidentemente, non riesce più a essere rappresentata dall’attuale Pd. Non a caso ieri Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, ma da gennaio impegnato a riunire i mondi di centro che gravitano nel centrosinistra, ha annunciato la nascita dei comitati “Più Uno”, gruppi di partecipazione dei cittadini che prendono il nome dal libro scritto da Ruffini e che sta portando in giro per l’Italia, con l’obiettivo di contribuire al bene della politica. «Ripartiamo ascoltando le persone, perché i cittadini sono molto più dei partiti», ha spiegato Ruffini, ricordando di essere «cresciuto con i comitati per l'Ulivo». Nel frattempo, nel Pd, si fa avanti un’altra suggestione: nel caso in cui la maggioranza ripristinasse la possibilità del terzo mandato alle Regionali, Michele Emiliano potrebbe ricandidarsi governatore della Puglia. E a quel punto Antonio Decaro, destinato a succedergli, potrebbe liberarsi per sfidare Elly Schlein nel caso di un congresso anticipato.