Basta un tempo piccolo per assistere a grandi trasformazioni politiche: a volte, sono più che sufficienti dodici mesi. Pensate alle ultime elezioni europee, che si sono svolte appena un anno fa, e alla composizione delle liste del Partito democratico. Non passò inosservata, ovviamente, la presenza in posizione di eleggibilità (poi effettivamente concretizzatasi) di Marco Tarquinio e Cecilia Strada, le cui opinioni in politica estera ricalcavano e ricalcano quelle dell’ultrasinistra.
E cosa dicevano - allora - i dirigenti del Pd e i principali commentatori d’area? Per un verso, sostenevano (argomento ragionevole) che in un grande partito possono naturalmente convivere sensibilità anche molto diverse. Per altro verso (oggi possiamo dirlo: per farsi coraggio da soli), aggiungevano che Tarquinio e Strada esprimevano posizioni assolutamente laterali, marginali, poco più che individuali.
Insomma la tesi era: le posizioni del partito sono quelle pro Occidente e pro Nato; dopo di che, si garantisce diritto di tribuna anche a qualche isolata voce differente. Ecco, a un annodi distanza, quest’ultimo argomento appare decisamente invecchiato male. In dodici mesi, tutto è stato letteralmente ribaltato.
E non per caso, non per un capriccio del destino, ma per precisa volontà politica di Elly Schlein. In parole povere, ora sono Tarquinio e Strada a fissare le posizioni “ortodosse” nel partito, mentre i poveri “riformisti” - pagando in primo luogo la propria scarsa combattività e l’assenza di coraggio politico - sono ormai confinati in una sorta di riserva indiana.
L’aria che tira è facilissima da cogliere e da interpretare. Sono i Tarquinio e le Strada a rilasciare interviste a raffica, a imperversare sui media, a forzare le loro dichiarazioni senza alcun timore, senza mai sentire il bisogno di attenuare-smussare-arrotondare, nemmeno per far sentire a propria volta “a casa” la componente più lontana. Insomma, hanno vinto e non fanno nulla per nascondere questa evidenza.
E invece gli altri sono costretti a giocare sistematicamente in difesa, quasi a doversi giustificare, o - in modo ancora più imbarazzante - a elevare flebili proteste verso la segreteria per il peso eccessivo della componente iperpacifista e pro Pal. In altre parole, ammesso che fosse vero allora (e che lo sia anche adesso) lo schema del “diritto di tribuna”, ora a doverne usufruire sono quelli che pensavano di essere al volante del pullman. E invece no: sono ridotti alla condizione di passeggeri malsopportati, relegati in qualche poltroncina laterale.
Non occorre la sfera di cristallo per immaginare che, da qui alle politiche del 2027, questa tendenza non solo non sarà rovesciata, ma sarà accentuata e radicalizzata. In altre parole, la sparuta e intimidita pattuglia riformista sarà dinanzi a un bivio: o sottomettersi definitivamente a un partito diventato la fotocopia di Avs, cioè della lista di Bonelli e Fratoianni, e quindi accettare - come prezzo della rinuncia a fare politica - un piatto di lenticchie consistente in una decina di seggi sicuri tra Camera e Senato, oppure cercare spazio altrove. Succede quando si rinuncia alla battaglia delle idee.