Lo “sceriffo” Giancarlo Gentilini lo chiamava «il comunista». In alcune interviste, quando il politicamente corrotto, pardon corretto non era ancora il Vangelo dei finti buonisti, gli ha dato pure del «bolscevico». Tra i due, nonostante le sparate più o meno studiate del leghista, è comunque nato un buon rapporto, e quando a fine aprile il vecchio Alpino è andato in avanti – aveva novant’anni – Giovanni Manildo gli ha riservato parole d’affetto.
Manildo dodici anni fa è riuscito nella storica impresa di espugnare Treviso, feudo del Carroccio. Ha vinto al ballottaggio proprio contro Gentilini il quale dopo aver governato per quasi dieci anni – da fine ‘94 al 2003 – aveva provato a tornare in sella: l’altro monumento leghista di Treviso, Gian Paolo Gobbo, a sua volta aveva terminato la decade in municipio. Il testimone spettava di nuovo a Gentilini ma «il bolscevico» gliel’ha strappato.
Ora Manildo, poi sconfitto nel 2018 da un altro leghista, Mario Conte, s’è messo in testa una nuova idea meravigliosa (o forse gliel’hanno messa), pure se l’impresa è a dir poco improba: togliere al centrodestra la presidenza del Veneto, cosa che alla sinistra non è mai riuscita. L’ultimo volta è finita con la coalizione guidata dal “doge” Luca Zaia al 77% e il carrozzone dem al 15. I cinquestelle, capolavoro nel capolavoro, si sono schiantati al 2,7.
A breve, a meno di colpi scena, l’avvocato Manildo dovrebbe ricevere ufficialmente l’incarico. I dem, dopo aver provato a candidare la biologa Viola, l’ex sindaco di Vicenza ed europarlamentare Achille Variati e stroncata l’autocandidatura della virostar e senatore dem Andrea Crisanti, hanno indicato Manildo quasi all’unanimità: il Pd ha approvato col 96% dei voti la proposta del segretario Andrea Martella. Qualche resistenza c’è stata, e c’è ancora, ad esempio da Verona, dove il Pd ha provato spingere i suoi. In ogni caso per lanciare ufficialmente Manildo il Partito democratico deve aspettare il via libera degli alleati. Tra questi, soprattutto alla luce dell’inconsistenza in regione, dovrebbero esserci anche i Cinquestelle.
Il fronte progressista spera nel miracolo di una spaccatura all’interno del centrodestra, che ancora non ha trovato la quadra. Venuta ormai meno la possibilità della ricandidatura di Zaia per la regola del doppio mandato (per lui sarebbe il quarto ma la norma è entrata in vigore dopo la prima nomina) la Lega spinge per mantenere la Regione, a cui sulla base dei numeri alle Politiche e alle Europee ambisce anche Fratelli d’Italia. L’obiettivo più realistico del «comunista» Manildo è quello di fare una discreta figura.