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Bertinotti svende Mao. Finalmente l’ha capita...

Fausto non è incoerente, come gli rinfacciano; anzi, è quello che ha sempre fatto per tutta la vita, vendendo il verbo comunista con doti affabulatorie
di Pietro Senaldi venerdì 27 giugno 2025

3' di lettura

Elogio di Fausto Bertinotti, che la prossima settimana mette all’asta alcuni quadri. I due più noti sono le serigrafie raffiguranti Mao Tse Tung realizzate nel 1972 da Andy Warhol, che l’ex presidente della Camera ha ereditato una decina d’anni fa dall’amico banchiere Mario D’Urso.

«Ho bisogno di soldi, vendo questi e mi tengo quelli che mi interessano» ha fatto sapere sintetico il grande comunista. Si è così attirato le critiche di un altro comunista storico, ancorché di minor fortuna e patrimonio artistico.

Marco Rizzo lo ha accusato di essere «un comunista da salotto, che vede l’arte come qualcosa in suo possesso, mentre io, se li avessi avuti, li avrei venduti subito, per finanziare il risorgere del Sol dell’avvenire». Non c’è da stupirsi. Uno comunista altermondista, l’altro comunista sovranista, i due sono fatti della stessa pasta ma antitetici.

Bertinotti è meglio, per tanti motivi. Il primo è perché, quando ha capito di aver fallito politicamente, si è ritirato assumendosi tutta la responsabilità dei propri errori. Romano Prodi, allorché il leader di Rifondazione gli terremotò il secondo governo su due, gli consigliò di «bersi un brodino caldo». Lui lo ha fatto e ancora lo sta sorseggiando in salotto. Il secondo è perché, pur essendo fuori dal giro da vent’anni, la sua eredità politica resta di straordinaria attualità: 27 anni fa fece cadere un esecutivo (il Prodi uno) con dentro ministri come Vincenzo Visco, Pierluigi Bersani, Luigi Berlinguer, Giorgio Napolitano e Walter Veltroni perché lo riteneva troppo poco di sinistra. Da allora si capì che l’ammucchiata rossa può vincere ma non dura, che da quelle parti ci sono troppi polli ma nessun gallo e che questo destino non cambierà mai. Il terzo è perché, mettendo il grande Timoniere in vendita, per di più a cifre basse, garantisce l’interessato, dimostra che per i compagni tutto ha un prezzo, e non è neppure troppo salato. Lezione da tenere a mente quando da quelle parti qualcuno si alza a parlare di principi o di superiorità morale.

Ora che il comandante Fausto è in pensione, e quindi si può essere bertinottiani senza rischiare di rovinare il Paese, ci si può scatenare nell’apprezzamento. Viva il piazzista di Rifondazione. Quando, dopo cinque legislature alla Camera, tre all’Europarlamento e trent’anni da dirigente della Cgil e la vendita di una tenuta in Umbria dichiara di doversi disfare di due Warhol da ventimila euro perché gli serve denaro dimostra che i politici di sinistra di soldi non ci capiscono un’acca. E se sono pessimi amministratori delle finanze proprie, figurarsi di quelle pubbliche. Ma poi, perché criticarlo in quanto mette all’asta Mao?

Non è incoerente, come gli rinfacciano; anzi, è quello che ha sempre fatto per tutta la vita, vendendo il verbo comunista con doti affabulatorie. Il problema, oggi che fa il banditore come ieri quando faceva i comizi, non è suo ma di chi compra la sua merce. E comunque, si apprezzi il salto di qualità: meglio vendere il ritratto del Grande Timoniere piuttosto che il suo pensiero omicida.

Inoltre, bisogna saper leggere nel non detto. Bertinotti ha confessato che le opere che gli piacciono davvero se le tiene per sé. Meglio tardi che mai. A 85 anni Mao ha iniziato a procurargli l’orticaria. Tra rivoluzioni, controrivoluzioni culturali, campagne di repressione varie e carestie innescate da scelte economiche deliranti, il dittatore cinese ha fatto fuori circa settanta milioni di connazionali. Vederselo tutti i giorni, forse ha cominciato a dare il voltastomaco anche al leader rifondarolo, e questo gli va solo a merito. Dopo un po’, quando si fanno i conti di una vita, perfino il genio dell’artista soccombe di fronte a un soggetto deplorevole.

Bertinotti avrà probabilmente deciso di passare l’ultima parte della sua vita in tranquillità, senza essere inseguito dagli incubi notturni che a chiunque susciterebbe il mostro che troppo a lungo si è tenuto appeso in salotto. Meglio pensare questo piuttosto che riflettere amari sul fatto il comunista che si vende un pezzo della sua storia, ancorché tra i più imbarazzanti, dimostra che in fondo siamo tutti mercanti nel tempio.

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