Se le Marche, come sostengono gli analisti politici nostrani, sono per l’Italia quello che è l’Ohio per gli Stati Uniti, la terra che può andare a destra o a sinistra e a seconda del suo giro cambia i destini del Paese, allora il campo largo non se la passa tanto bene. Matteo Ricci, il candidato della sinistra alle Regionali del prossimo 20-21 settembre, potrebbe subire un destino simile a quello della democratica Kamala Harris, data sicura vincitrice dalla stampa progressista prima del voto e poi umiliata nelle urne da Donald Trump. Chi non gli vuole bene sostiene che abbia gli stessi problemi temperamentali della ridanciana signora estratta dal cappello per pensionare Joe Biden. C’è un sondaggio di Tecné di una decine di giorni fa che dà il presidente uscente, Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia, in testa di cinque punti- 52,5 a 47,5 - e il centrodestra giura di avere rilevazioni ancora più recenti che confermano la tendenza. Dall’altra parte negano e si dicono sicuri di vincere; anche la sinistra sostiene di avere un test segreto che la dà in testa ampiamente, ma finché non viene reso pubblico si resta alla guerra delle parole.
Ma non è solo questione di numeri. Ci sono tre fatti che sembrano aver cambiato l’inerzia della sfida, che solo qualche settimana fa il Pd era certo di vincere, richiamando da Bruxelles il suo neoparlamentare, ex sindaco di Pesaro, di recente eletto con 50mila preferenze raccolte solo nella regione. La notizia che ha avuto rilevanza nazionale è che Azione, di Carlo Calenda, non presenterà il suo simbolo nell’alleanza del campo largo. L’occasione per sfilarsi è stato il no al rigassificatore annunciato da Ricci per far contenti gli alleati grillini e verdi. Il disagio però è ben più profondo.
Sta a Roma, dove il leader sostiene che le posizioni del campo largo su energia, industria, welfare e giustizia sono “incompatibili” con quelle del suo partito. Ma sta anche sul territorio. Tommaso Fagioli, il coordinatore di Azione, anconetano, è più vicino ad Acquaroli che a Ricci e lo sono anche la maggioranza degli esponenti locali, specie nell’entroterra o a sud del capoluogo, dove il governatore è di casa e lo sfidante è ritenuto un romagnolo, che per i marchigiani non è considerato un complimento.
Al momento i calendiani stanno alla finestra, ma non è escluso che il nome di qualcuno possa spuntare tra le liste del centrodestra; come del centrosinistra, anche se forse in numero minore e di profilo più basso. C’è poi chi insinua che anche tra le file di Italia Viva in molti vivano lo stesso travaglio: si sentano più vicini al centrodestra e vedano la candidatura di Ricci come una gabbia.
E qui c’è da chiedersi quanto la linea di Elly Schlein, che ha deciso di sterzare tutto a sinistra, legando molto il Pd a M5S e Avs, stia danneggiando il candidato, che è di natura più trasversale: andava d’accordo con Bersani, ma è pure stato renziano, non dispiaceva affatto a Nicola Zingaretti ed infine è stato confermato da Enrico Letta a capo dei sindaci dem, prima di essere mandato in Europa dall’attuale segretaria. Da camaleonte qual è, adesso fa il compagno, dimenticando però che si presenta per guidare una Regione sotto il Rubicone, per geografia, usi e mentalità. Il Ricci che se ne inventa una al giorno, sempre più rosso-verde-giallo, non entusiasma una comunità che ama stare tranquilla e l’ha ribattezzato “un ottimo venditore di Folletti”, accusa che gli ha fatto il centrodestra e che il Corriere Adriatico ha riportato con la dovuta enfasi.
C’è poi la questione interna al Pd, deflagrata lo scorso fine settimana all’assemblea regionale del partito, tenutasi nella Casa del Popolo di Chiaravalle, luogo che è una via di mezzo tra un centro sociale ripulito e una sede del Pci di Peppone. Si dovevano decidere le liste, è finita in rissa. Sempre in omaggio all’ortodossia verso il metodo Schlein, la coordinatrice regionale, Chantal Bomprezzi, ha vietato ai consiglieri dem in carica di candidarsi per il terzo mandato. Il problema è che sono quelli che prendono i voti. Risultato: ad Ancona, Ascoli e San Benedetto del Tronto, i consiglieri che gli elettori sceglierebbero sono fuori dalle candidature Pd, per lasciar spazio a Bomprezzi e a gente gradita al nuovo corso del Nazareno e Ricci sarà costretto a presentarli nella propria lista, sempre ammesso che questi accettino. Avesse saputo prima in che travaglio si sarebbe messo, l’europarlamentare se ne sarebbe rimasto a Bruxelles.
Già perché, tra i problemi minori, ma pur sempre fastidiosi, c’è lo scetticismo dei grillini. L’onorevole Giorgio Fede, capo di M5S sul territorio, lesina dichiarazioni di stima verso il candidato del campo largo; anche perché da queste parti, fino a pochi anni fa, Ricci e i dem erano considerati dal Movimento il nemico numero uno. Non favorevole all’europarlamentare è il suo successore, l’attuale sindaco di Pesaro, Matteo Biancani, che a seguito dell’inchiesta che ha portato a essere indagati per concorso in corruzione uomini dell’amministrazione precedente, in merito a una questione di lavori pubblici affidati senza concorso. «Non voglio essere indagato», ha chiosato il nuovo primo cittadino, sconfessando i metodi in vigore prima della sua elezione.