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Il poker d’assi del Pd alle elezioni regionali è un mezzo bluff

di Pietro Senaldi lunedì 7 luglio 2025

4' di lettura

Le Regionali del prossimo autunno sono state raccontante come una tappa fondamentale della marcia trionfale di Elly Schlein. Pareva scontato un 4-1 a favore della sinistra, con il centrodestra a doversi consolare per aver mantenuto il solo Veneto. Dopo di che, nella primavera del prossimo anno, il congresso del Pd, chiamato a confermarla segretaria e quindi nel 2027 a candidarla a sfidare Giorgia Meloni per Palazzo Chigi come leader del campo largo. Schema di gioco: l’asse di ferro tra dem, grillini e sinistri ambientalisti di Avs. In posizione marginale, Matteo Renzi, +Europa e qualche neonato movimento centrista para-tecnico di cacasenno, sullo stile dell’ex agente delle tasse Ernesto Ruffini, autorizzare a piazzare la loro tenda nel villaggio, ossia a portare acqua, a patto di non abbeverarsi troppo. La storia racconta che le Regionali avrebbero dovuto essere il passaggio più facile.

Le ammucchiate progressiste naufragano a Roma, alla prova del governo nazionale, ma sul territorio solitamente tengono. I segnali delle ultime settimane però non sono troppo rassicuranti. In Toscana la Nazarena aveva accarezzato a lungo l’idea di sostituire il governatore uscente, il pallido e renziano Eugenio Giani, con qualcuno dalla camicia un po’ più rossa, contando sulla tradizione trinariciuta della Regione. Ma il rottamatore dalle sue parti pesa più del 2% scarso, che è la sua misura nazionale, il centrodestra ha un buon candidato in pectore, il sindaco di Pistoia Alessandro Tommasi, di Fratelli d’Italia, e il fedelissimo di Elly in zona, Marco Furfaro, non è un profilo su cui giocarsi tutto. Ecco che così Giani sarà riconfermato e la segretaria dovrà digerirlo.

Nelle Marche si era partiti con gran fragore di trombe. L’ex sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, già bersaniano, renziano, zingarettiano e lettiano campione di preferenze e primo della sua terra a sbarcare all’Europarlamento, da qualche tempo ha scoperto di amare anche Elly. Così, è stato arruolato per strappare la Regione al meloniano Francesco Acquaroli. Il candidato però, malgrado il suo curriculum, si è fatto prendere un po’ troppo la mano dalla linea Schlein e ha cominciato a parlare come un estremista grillino, proponendo la chiusura del termovalorizzatore e iniziando a parlare come Nicola Fratoianni. Risultato, quelli di Azione, che già si sentivano più vicini ad Acquaroli che al campo largo, si sono sfilati; e qualcuno pensa che altrettanto faranno alcuni esponenti di Italia Viva. Per di più Schlein, per costruire una pattuglia di fedelissimi, ha vietato ai consiglieri dem al secondo mandato, i signori dei voti, di ricandidarsi, con il risultato di spaccare il partito.

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Chi va troppo a sinistra, si perde un pezzo di sinistra, e con esso anche la possibilità di vincere, visto che negli ultimi sondaggi il centrodestra è dato in testa di cinque punti. Situazione difficile, tanto che qualche nemico di Ricci fa girare la voce che la sinistra intenda cambiare cavallo. Improbabile, non perché siano tutti pazzi di lui, ma perché qualunque alternativa sarebbe peggiore.

Situazione ingarbugliata anche in Campania. Giuseppe Conte e la Nazarena hanno trovato l’intesa sul nome dell’ex presidente della Camera grillino, Roberto Fico. Il governatore uscente, Vincenzo De Luca, che alle scorse elezioni ha preso il 70% dei consensi, e al quale Schlein ha impedito di ricandidarsi vietando il terzo mandato, non lo può vedere. Spinge un altro grillino, l’ex ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, con il quale ha lavorato e avrebbe anche rapporti personali di famiglia. Ieri per la prima volta ha parlato Piero, il figlio del presidente, deputato dem, invocando le primarie di coalizione, se non c’è accordo sul nome. Il discorso è sensato: prima di scegliere i nomi, rivendichiamo quanto è stato fatto finora, nei dieci anni di regno di papà, e parliamo di programmi per il futuro.

Il punto però è che a Schlein la continuità non interessa affatto. La Campania al M5S è un’operazione di potere del Nazareno per togliersi di torno l’ingombrante De Luca, così come vent’anni fa è stato defenestrato Antonio Bassolino, altro governatore progressista diventato troppo importante. Don Vincenzo può far la voce grossa, ma la sua forza si fonda sul potere, non sulla linea politica. In questi anni ha pescato da tutte le parti.

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La legge regionale campana concede quattro briciole alle liste perdenti; quindi De Luca o fa candidare i suoi con il Pd, o al massimo con una propria lista, oppure è fritto, perché se corre da solo con una testa di paglia, raccoglie poco e non ha nulla da offrire. Forse è già in ritardo per trattare qualche assessorato con Schlein, per esempio quello alla Sanità per il suo fedelissimo, Fulvio Bonavitacola. E siamo in Puglia, dove tutto avrebbe dovuto essere semplice, con Antonio Decaro, candidato al trionfo. Solo che l’opposizione interna al Pd, i riformisti di Energia Popolare, di cui l’ex sindaco di Bari è esimio esponente, lo tirano per la giacca. Vorrebbero che non prendesse impegni gravosi a lungo termine e restasse all’Europarlamento, in attesa del primo passo falso di Elly, per candidarlo a prendere il suo posto. Ci ha messo pure lo zampino Matteo Renzi, che gli fa suonare nelle orecchie la sirena del futuro leader di tutte le sinistre. Decaro quindi ha iniziato a dubitare. Ha trovato il pretesto delle candidature del governatore uscente, Michele Emiliano, e del grande ex, Nichi Vendola, al consiglio regionale, per far balenare una rinuncia a scendere in campo. Non vuole tutori, dice. Non vuole nessuno che possa oscurarlo o mettergli i bastoni tra le ruote.

Si vocifera che il Nazareno stia valutando di dirottare Emiliano verso un assessorato, a elezioni vinte, dietro l’impegno a non candidarsi. Un impegno a tempo, con un’ulteriore remunerazione tra due anni, con la candidatura al Parlamento in un seggio sicuro. Emiliano però è scaltro, pensa all’uovo oggi, non vuol lasciare la Puglia e di fare l’assessore gli importa davvero poco.

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