C’è una sola cosa certa nello sciopero dei treni iniziato lunedì alle 21 e terminato ieri alle 18: quattro sigle minoritarie, neppure incluse nelle statistiche ufficiali di rappresentatività, hanno rotto le scatole a oltre tre milioni di italiani, tanti sono quelli che mediamente viaggiano ogni giorno sulle ferrovie. Cub, Usb, Assemblea Nazionale, Pdm/Pdb: questo sottobosco sindacale, schegge fuoriuscite dalla Cgil anni fa e delle quali è ignota la consistenza numerica in termini di iscritti, hanno terremotato il traffico su rotaia. «Abbiamo avuto un’adesione oltre l’80%», gongolano felici a fine giornata gli autonomi, «causando una soppressione del servizio che supera il 65%» gongolano quelli di Cub. «Evviva, abbiamo fermato il 37% dei convogli: 1.945 cancellati e 285 riprogrammati» esultano invece da Usb.
Non si mettono d’accordo neppure tra di loro... Numeri che sembrano tirati a caso come quelli della tombola, considerato che appena venerdì scorso l’intero personale delle Ferrovie si era espresso in un referendum favorevole per il 68% al contratto appena firmato. La realtà è che l’adesione allo sciopero del personale di bordo è stata di circa il 20%, ma sul totale del personale Fs scende al 7%. Molto bassa, soprattutto rispetto alle percentuali dei sindacati Cgil, Cisl e Orsa. Indipendentemente da chiunque dei due soggetti abbia meno torto, il disagio c’è stato. Nei passeggeri, che temerari hanno sfidato l’astensione, non per amore del rischio ma per necessità improcrastinabili, e si aggiravano spettrali tra i binari. Ma anche tra il personale ferroviario che non è restato a casa e in buona parte di quello che si è messo in ferie o in riposo per non vivere una giornata di stress lavorativo e rabbia del pubblico. Già perché i primi a essere arrabbiati per la protesta di ieri erano proprio i ferrovieri.
Le maggiori sigle sindacali, Cisl, Onda, perfino la Cgil, dopo un annodi trattativa hanno rinnovato il contratto nel maggio scorso, ma quattro gatti, che non lo hanno fatto ma pure beneficiano degli aumenti di stipendio e di benefit e dei progressi fatti nel tema sicurezza, hanno voluto comunque protestare e mettere in difficoltà colleghi e viaggiatori. Perché? Solita storia: la sinistra che si divide, con la scusa della gara a chi è più di sinistra, in realtà per questioni di potere. Nella fattispecie, il rinnovo prevede in media un’una tantum di mille euro per il periodo di vacanza contrattuale, aumenti medi di duecento euro al mese e un aumento da cento a trecento euro dei rimborsi per spese di welfare tipo l’asilo e l’assistenza sanitaria. In più, per far fronte all’allarme aggressioni al personale, sono stati aumentati del 25% i dipendenti addetti alla sicurezza e sono state installate le prime telecamere. Ma la protesta di ieri non badava ai contenuti. Era tutta politica, e più rivolta alla lotta interna che all’opposizione al governo. Anche per questo ieri il governo non ha proceduto a precettazioni e non ha rilasciato dichiarazioni di sorta.
Chi incita alla rivolta sociale, poi si ritrova la rivolta sindacale interna, viene da pensare, ricordando le parole del segretario della Cgil, Maurizio Landini, quando nell’autunno scorso aveva annunciato lo sciopero generale contro la manovra del governo, prima che questo la presentasse. Da cronisti possiamo registrare come le logiche dello scontro politico nel sindacato abbiano sempre la meglio sui bisogni dei cittadini. Il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero. Le sigle che si sono staccate dalla Cgil sono mosse dalla stessa logica di Landini. È sempre il partito dei ferma-Italia, in servizio permanente per boicottare il Paese e le persone che provano a vivere tranquillamente. Il lavoro, per questa gente, non è mai vissuto come un servizio pubblico nei confronti dei cittadini, come se una volta presa la tessera sindacale il lavoratore smettesse di essere cittadino, ma sempre come un’occasione di rivendicazione contro il governo. Da quando al potere c’è il centrodestra, la conflittualità e le astensioni dal lavoro sono aumentate: se ne contano una decina sui treni nell’ultimo anno. L’unica buona notizia è che ultimamente parte del personale ferroviario è stufo degli scioperi almeno quanto lo sono gli utenti.