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Pasta di sinistra, riso di destra: la politica si divide anche all'ora di cena

Alle "pastasciuttate antifasciste" dell'Anpi, ora replica Joe Formaggio con la "risottata anticomunista": tutto è politica
di Alberto Busacca martedì 29 luglio 2025

3' di lettura

Pasta contro riso. O meglio: pasta di sinistra contro riso di destra. Il dibattito, in stile Giorgio Gaber, è aperto. L’ideale è discuterne in spiaggia col vicino di ombrellone: «Signor Silvano, le piacciono i maccheroni? Allora mi sa che è un po’ comunista». Si può andare avanti per ore...

Tutto nasce dalle famose “pastasciutte antifasciste” organizzate dall’Anpi, ogni 25 luglio, con l’intento di ricordare la pastasciutta (burro e formaggio) offerta dai fratelli Cervi ai loro compaesani, nel 1943, per festeggiare la caduta di Mussolini. All’Anpi, adesso, ha replicato Joe Formaggio, consigliere regionale veneto di Fratelli d’Italia. «Annuncio», ha tuonato, «il lancio ufficiale del “risotto anticomunista”». E poi: «Mentre ci vorrebbero tutti con la pasta in bianco e in povertà, io rispondo con un risotto al tartufo dei Colli Berici, che profuma di libertà e di Veneto vero». E anche il tartufo ora milita a destra, tiè.

Al di là del risotto di Joe Formaggio e dei maccheroni del signor Silvano, comunque, la domanda è: ma questa distinzione è solo un gioco o c’è davvero qualcosa che lega la pasta alla sinistra e il riso alla destra? Il rapporto stretto tra pasta e antifascismo, come spiegato, parte da una cosa seria. Ovvero dalla storica “pastasciutta antifascista” dei fratelli Cervi. Ma perché hanno scelto proprio questo piatto? Forse perché i loro avversari non lo amavano? Il rapporto tra fascismo e pastasciutta, ha scritto Alberto Grandi in un articolo sul Domani, è stato «conflittuale fin dall’inizio, forse ancor prima della marcia su Roma».

Mussolini, intanto, «romagnolo di nascita, probabilmente era poco avvezzo al consumo di pasta, come quasi tutti gli italiani, esclusi i napoletani e i siciliani, fino alla prima guerra mondiale». Il problema, poi, sarebbe stato che tanti nostri connazionali avevano scoperto la pasta in America, dove si era diffusa tra le varie comunità di emigrati. Ancora Grandi: «Il ruralismo, che stava alla base dell’ideologia fascista, non poteva non considerare la pasta come qualcosa di estraneo e quindi da rifiutare, dal momento che le masse contadine avevano da sempre basato la loro alimentazione sulle minestre in brodo e sulla polenta». Quindi anche brodo e polenta sono di destra, le cose si complicano...

È vero anche che il regime puntò molto sul riso, tanto che nel 1931 il neonato Ente Risi lanciò una grande campagna per diffonderne il consumo in tutta la nazione. Col supporto pure dei futuristi. Nel “Manifesto della cucina futurista”, uscito nello stesso periodo, Filippo Tommaso Marinetti, infatti, si schierava in maniera netta: «A differenza del pane e del riso, la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato. Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo».

Quindi è provato? La pasta è di sinistra e il riso di destra? Piano, piano. Perché, nel 2021, anche la pasta è stata accusata di essere nostalgica. Nel mirino degli antifascisti, nello specifico, è finita l’azienda La Molisana, “colpevole” di continuare a produrre due formati con un nome dal sapore coloniale: le Abissine e le Tripoline. L’Anpi, all’epoca, chiese all’azienda di dichiarare, «in modo fermo», la propria «totale estraneità» al fascismo. Perché la storia, si sa, si ripete sempre in farsa...

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