La partita delle Marche adesso è in mano agli elettori; e forse è la cosa migliore. L’inchiesta di Pesaro, che coinvolge anche l’ex sindaco e attuale candidato per il campo largo alla presidenza della Regione, Matteo Ricci, indagato per concorso in corruzione, non va in vacanza ma rallenta la corsa. I prossimi interrogatori ripartono a settembre. Al momento l’aspirante governatore dem l’ha sfangata.
Quando Stefano Esposto e Massimiliano Santini, i due uomini che di fatto gestivano le associazioni Stella Polare e Opera Maestra per le quali sono transitate le attività sospette hanno deciso di tenere la bocca chiusa davanti ai pm, l’ex sindaco ha avuto la certezza che avrebbe passato l’estate senza altri guai.
Chi non fa sconti a Ricci è Marco Travaglio, nume tutelare di Giuseppe Conte. Il direttore del Fatto Quotidiano è l’uomo che l’ex premier teme più al mondo, il solo del cui giudizio importi veramente al leader grillino. Gli attribuisce il potere di fargli guadagnare, ma soprattutto perdere voti. Ha ancora inciso nel cuore come una ferita l’editoriale che il giornalista gli ha dedicato un anno fa, all’indomani del tracollo di M5S alle elezioni Europee, quando aveva scritto che i grillini erano «i più sconfitti tra gli sconfitti», Conte era «il primo grande sconfitto» e il Movimento «era arrivato al bivio: sciogliersi o rifondarsi».
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Il timore di una condanna del direttore è stato il principale motivo per il quale Giuseppi ha tergiversato tanto prima di dare il via libera a Ricci, cosa che aveva deciso di fare da tempo, incurante dei tanti mal di pancia della base grillina, soprattutto nelle Marche. Marco è un giustizialista, è riconosciuto dagli elettori grillini come la coscienza morale del Movimento, malgrado mantenga da esso la giusta distanza, è il guru honoris causa dopo il suicidio del guru fondatore Beppe. Colui che sa interpretare, e manipolare, il Talmud dei Cinque Stelle, il garante dei principi: primo tra tutti, i magistrati hanno ragione anche quando hanno torto.
Da direttore-fondatore, Travaglio ha un’altra caratteristica: ha a cuore sopra ogni cosa la propria azienda. E circola la convinzione che lui si sia convinto che per il Fatto Quotidiano sia meglio che M5S non faccia un’alleanza organica con il Pd, come ha specificato Conte. Per questo ieri il leader grillino ha approcciato con agitazione l’editoriale del guru sulle Marche.
Un paio di giorni prima, Travaglio aveva scritto che con questa storia di Ricci indagato, e confermato candidato da Elly Schlein, il Pd aveva inguaiato il leader di M5S, che avrebbe ricevuto un danno in ogni caso: se avesse scaricato l’aspirante governatore del campo largo, se ne sarebbe intestato la sconfitta, se l’avesse sostenuto, si sarebbe fatto carico delle sue eventuali colpe e avrebbe derogato alla propria identità manettara.
Giuseppi però voleva sostenere l’ex sindaco di Pesaro, perché non vuole rompere con il Pd alle Regionali, in quanto vuole incassare il presidente della Campania e qualche poltrona in Puglia. Già dovrà far digerire ai dem il mancato sostegno in Toscana a Eugenio Giani, perché è renziano e la base locale grillina non lo vuole e perché, nella regione rossa M5S ancora qualche voto ce l’ha, e quindi gli conviene correre da solo. Non appoggiare Ricci, vicino al facilitatore Goffredo Bettini, uno dei pochi del Pd di cui Conte si fida, nonché anche per questo primo amministratore dem che aprì nella sua giunta ai grillini, subito dopo averli sconfitti, sarebbe stato uno sgarbo eccessivo.
Quindi il leader grillino ha assecondato la linea del Fatto, ordinando a Ricci di parlare davanti ai pm e specificando che solo dopo avrebbe espresso il suo verdetto, prima lui dei giudici. Dopo aver umiliato il Pd, la sua segretaria Elly Schlein, e il candidato del campo largo, l’ex premier ha dato il via libera al candidato e sperato nell’assoluzione di Travaglio.
E ieri, sull’operato dell’avvocato in versione giudice del Pd è arrivato il verdetto della Cassazione di Travaglio. Ecco l’editoriale-sentenza: i dem hanno sbagliato a presentare un candidato su cui pendeva un’inchiesta da mesi e a non imporgli il ritiro quando è stato reso pubblico che era indagato; bene ha fatto Conte ad aspettare gli interrogatori prima di scegliere; siccome al momento Ricci non è stato tradito dai collaboratori con i quali è indagato, M5S può sostenerlo, a patto che «lo sostenga come la corda sostiene l’impiccato»; ora le Marche andranno al voto sotto l’incudine di eleggere un presidente che potrà essere rinviato a giudizio; casomai accadesse, M5S deve ritirargli subito la fiducia e farlo cadere.
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E così, quando sarà formalizzata la candidatura di Roberto Fico in Campania ed M5S magari troverà un candidato di bandiera in Toscana, tutti potranno andare in vacanza sereni. Più serena di tutti, per dirla alla Matteo Renzi, è Elly Schlein. Conte, fa sapere chi lo conosce bene, ha molta pazienza. Adesso ragiona come Bettino Craxi quando era segretario del Psi con il 10-12%, un dato inferiore a quello di M5S. Lui comandava l’Italia facendo l’ago della bilancia, Giuseppe si accontenta di comandare l’opposizione.
Tra due anni, non è escluso che lascerà il Pd, anzi i 4-5 Pd nei quali i dem si dividono, solo in un campo ristretto, perché lui punta al piatto forte ed è convinto di aver il partito dalla sua. Si è scelto il nemico, e non è Elly Schlein ma Giorgia Meloni. La sfiderà da numero due della sinistra, nel 2027, per battere il Pd, e la volta successiva da numero uno dell’opposizione, per tornare a Palazzo Chigi. A quel punto, dovrà come minimo ringraziare Travaglio.