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Francesca Albanese premiata dal Pd e la destra scende in piazza

di Antonio Castro lunedì 4 agosto 2025

4' di lettura

Lunedì 4 agosto - salvo cambi di programma dell’ultima ora, visto il montare delle proteste e delle contestazioni - il Comune di Bari conferirà le chiavi della città a Francesca Albanese, la contestata relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori occupati. Apriti cielo.

La decisione del sindaco pugliese ed esponente del Partito democratico, Vito Leccese, già annunciata pubblicamente lo scorso 25 luglio ha infiammato gli animi. Gli esponenti locali e nazionali di Fratelli d’Italia, a poche ore dalla cerimonia, definiscono Albanese «una figura troppo divisiva» che può «compromettere i nostri rapporti internazionali». Per questo motivo hanno chiesto al sindaco Dem di «evitare scelte non condivise».

La lettera porta la firma non solo di esponenti dei municipi e del consiglio comunale ma anche dell’eurodeputato Michele Picaro e del senatore Filippo Melchiorre. I rappresentanti di FdI, che firmano la lettera, sottolineano come «il conferimento delle chiavi della città» rappresenti solitamente un «gesto dal fortissimo valore simbolico, che dovrebbe incarnare unità e condivisione dell’intera comunità cittadina, non diventare, invece, occasione di divisione e strumentalizzazione politica». Insomma, una tirata d’orecchi al sindaco Pd che sembra volere cavalcare mediaticamente la popolarità pro -Pal della Albanese. Ieri il Fatto quotidiano ha annunciato che, in abbinata con il quotidiano, verrà diffuso il secondo Rapporto della Albanese sull’Economia dell’occupazione.

Una precisa scelta editoriale. Di contro la lettera rivolta al primo cittadino ricorda «numerose dichiarazioni pubbliche della dottoressa Albanese». Affermazioni che hanno «suscitato polemiche e controversie sul piano internazionale». Gli esponenti di FdI ricordano «il mancato riconoscimento di Hamas come organizzazione terroristica».
Una dimenticanza non da poco per un soggetto pubblico nel ruolo di rappresentante Onu.

Gli esponenti di FdI sottolineano al primo cittadino barese «l’importanza di dedicare l’impegno amministrativo alle vere esigenze sicurezza, trasporto pubblico, igiene, parcheggi, inclusione sociale - piuttosto che ad azioni unilaterali e divisive». Il sindaco di Bari incassa la lettera. Ma non cambia rotta. Tutti gli esponenti dell’opposizione (da Alfredo Giovine di Forza Italia a Giuseppe Carrieri della Lega) chiedono di smetterla di fare «politica estera», che è compito del governo nazionale, e pensare alla città. Ma Leccese fa spallucce. La «consegna delle chiavi», assicura, «non mi distrae dagli impegni amministrativi locali».

A quasi 2 anni dall’anniversario dell’assalto terroristico dei miliziani di Hamas (ieri erano 666 giorni dalla strage compiuta nel sud di Israele), con oltre 50 rapiti di cui ancora non si conosce la fine, l’azione militare dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza continua a far discutere. Così come aumentano le frizioni per l’accusa rivolta a Israele di “genocidio” a Gaza. Un accostamento semplicistico per la senatrice a vita Liliana Segre. Che invita ad una più profonda riflessione invece di schierarsi come tifoserie da stadio: «Se in Israele il problema è quello di arrestarsi sull’orlo dell’abisso», scandisce la presidente della Commissione antisemitismo e razzismo, «qui in Europa il problema è duplice: aiutare israeliani e palestinesi che in quell’abisso rischiano di sprofondare, ma al tempo stesso non far dilagare qui la barbarie culturale che un acritico arruolamento su uno o sull’altro dei due fronti più estremi».

La senatrice Segre che porta sulla pelle i segni dell’odio religioso quando appena 13enne venne deportata nel campo di concentramento nazista di Auschwitz- continua la sua dolorosa opera di pacificazione. Non rinunciando a difendere l’ideale di una terra dove il popolo ebraico potesse trovare una “casa sicura” per non dover più subire deportazioni di massa e stragi religiose. C’è da riflettere: l’attacco subito nel “cortile di casa” dove ci si sentiva al sicuro ha lasciato un danno indelebile. È stato come ripercorrere con la memoria l’assalto nei ghetti d’Europa. Ma il parallelo tra l’olocausto nazista e la cruenta campagna militare a Gaza non lo accetta. «Per questo», spiega Segre, «mi sono sempre opposta e continuo ad oppormi a un uso del termine genocidio che non ha nulla di analitico, ma ha molto di vendicativo. È uno scrollarsi di dosso la responsabilità storica dell’Europa, inventando una sorta di contrappasso senza senso, un ribaltare sulle vittime del nazismo le colpe dell’Israele di oggi dipinto come nuovo nazismo».

Nell’intervista concessa dopo un lungo silenzio al quotidiano la Repubblica la senatrice Segre dice la sua dopo la denuncia dello scrittore israeliano David Grossman che per la prima volta adopera il termine genocidio. «Non faccio dichiarazioni da mesi perché mi sono chiusa nella mia amarezza smisurata per ciò che vedo nei telegiornali». Ma non riesce a condivide l’accostamento tra le azioni militari decise dal gabinetto di Benjamin Netanyahu a Gaza e le azioni sul campo. «Israele», precisa, «non è né l’erede né il rappresentante degli ebrei europei vittime della Shoah: non deve usare quello scudo per giustificare qualunque suo eccesso, ma non deve neanche essere usato come pretesto per tornare ad odiare il popolo ebraico e perfino le vittime di 80 anni fa».

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