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Fuori i cinesi dalle aziende italiane: il governo vuole estromettere Pechino

di Francesco Storace mercoledì 13 agosto 2025

3' di lettura

 Stavolta il dazio lo mette la Meloni alla Cina. C’è un piano del governo italiano per valutare una stretta alle partecipazioni di Pechino nelle aziende italiane strategiche. Insomma, occhi aperti e non a mandorla. In gioco potrebbero anche esserci le relazioni con gli Usa, oltre che gli interessi delle nostre imprese. La partita è delicata e per ora tutto si svolge sul piano ufficioso. La notizia dell’iniziativa italiana è stata diffusa dall’agenzia statunitense Bloomberg e ha tutta l’aria di essere fondatissima, pur in attesa di conferme effettive. Va anche detto che da tempo si attendeva che il governo italiano prendesse una decisione netta sul dossier allo studio. E l’esame delle nostre aziende di importanza strategica suggerisce l’adozione delle misure necessarie, appunto con la stretta sulla partecipazione cinese. Nel mirino sono tre, in particolare, le imprese che vanno “liberate” dalla presenza di Pechino. E che rischiano di vedere compromessi i loro interessi strategici nei mercati internazionali, America in primis, proprio le relazioni con il dragone. Nel loro caso è rilevante l’iniziativa del governo per i riflessi proprio sull’economia e anche sul versante della sicurezza nazionale.

Di chi si tratta? In primis la Pirelli, dove la statale cinese Sinochem detiene il 37%, una posizione già attenuata in termini di governance tramite i poteri speciali (“golden power”) e modifiche nel consiglio d’amministrazione. Nel caso di Pirelli l’alleanza iniziale siglata con i cinesi nel 2015 vedeva come socio ChemChina, società di Stato ma indipendente nella gestione dell’investimento dalle agenzie del Partito comunista cinese a differenza di Sinochem, il socio subentrato nel 2021 a seguito di una fusione. Di quest’ultimo sono infatti già emersi in passato tentativi di ingerenze nella gestione e nella governance del gruppo della Bicocca, le cui tecnologie sono state riconosciute strategiche dal Governo con l’intervento del Golden Power avvenuto nel 2023 a loro difesa e a tutela dell’indipendenza del management. Oggi il tema centrale nei rapporti con i soci cinesi resta legato alle tecnologie innovative prodotte da Pirelli, in particolare il Cyber Tyre, il cui sviluppo negli Usa, e di riflesso a livello globale, viene oggi impedito, alla luce delle normative americane sui veicoli connessi, proprio dalla presenza rilevante di un socio cinese di riferimento controllato direttamente dal governo di Pechino.

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Gli altri dossier all’esame dell’esecutivo italiano riguardano poi Cdp Reti, con una quota del 35% in mano a una controllata di State Grid Corporation of China. E anche Ansaldo Energia è oggetto di studio sebbene la presenza cinese sia meno rilevante, ma comunque significativa in settori chiave come energia e infrastrutture. Ovviamente, tra i pochi disponibili a spiegare la possibile iniziativa del governo, si tiene a precisare che la strategia di Palazzo Chigi non nasce da una frizione diretta con Pechino, bensì da una scelta geopolitica: tutelare i rapporti con Washington ed evitare sanzioni o limitazioni per le aziende italiane che fanno affari negli Stati Uniti. Quali sono gli strumenti normativi che il governo italiano può utilizzare per limitare le partecipazioni cinesi o di altri Paesi extra-Ue in aziende strategiche? Il più importante e decisivo, appunto, il Golden Power, che attribuisce al Governo poteri speciali per bloccare o imporre condizioni su operazioni in settori strategici: difesa, sicurezza, energia, trasporti e comunicazioni. Dal 2020 questo potere è esteso anche ai settori alimentare, assicurativo, sanitario e finanziario. Ovviamente, dopo le indiscrezioni ci sono le reazioni a possibili iniziative italiane. E da parte cinese si muove il ministero degli Esteri con un proprio portavoce che ha puntato a minimizzare eventuali conflitti: «La cooperazione negli investimenti tra Italia e Cina porta benefici reciproci» e la speranza è che l’Italia continui a garantire un trattamento equo alle aziende cinesi.

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