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Regionali in Calabria, la foto che spaventa la sinistra

di Fausto Carioti giovedì 2 ottobre 2025

4' di lettura

«Questa piazza lascia ben sperare», dice Giorgia Meloni guardando la folla dal palco di Lamezia Terme. Dopo le Marche, il centrodestra vede a portata di mano la vittoria di Roberto Occhiuto in Calabria. La chiusura dell’accordo sul candidato in Veneto è a un passo: incassato lì un probabilissimo successo, la “missione Regionali” sarebbe compiuta. E se dalle urne di Toscana, Campania o Puglia dovesse uscire qualche sorpresa, tanto peggio per la sinistra. In corso Numistrano, per il comizio del governatore uscente e dei leader della maggioranza, c’è il gran pienone e sventolano bandiere di tutti i partiti della coalizione. Se la partecipazione e l’atmosfera significano qualcosa, l’ottimismo è giustificato. Occhiuto parla prima dei tre leader nazionali, e quando nomina Giuseppe Conte piovono fischi. Rivendica i risultati raggiunti, come l’arrivo in regione dei medici cubani, ottenuto grazie alla collaborazione di Antonio Tajani e dell’ambasciata all’Havana, tenuta aperta apposta il giorno di Natale.

Prima di lui, Maurizio Lupi aveva preso di mira Pasquale Tridico e il M5S, definendo il reddito di cittadinanza «un insulto alle regioni del Sud». Salvini tocca i temi cari al suo elettorato, iniziando dal contrasto all’immigrazione. Non quella fatta da «ragazze e ragazzi che chiedono rispetto e danno rispetto, che mandano i figli a scuola e pagano le tasse». Ma l’immigrazione di «quelli che arrivano e iniziano a dire non mi piace come vivete voi in Calabria, non mi piace come si vestono le vostre donne, non mi piace come pregate, non mi piacciono le processioni a Lamezia Terme. Cancellate il Natale, cancellate la Pasqua, cancellate la famiglia».
«Noi», è la ricetta di Salvini, «cancelliamo il tuo diritto di rimanere in Italia». Ricorda il processo Open Arms che lo attende in Cassazione «per avere difeso il mio Paese». E ovviamente promette che farà di tutto affinché il ponte sullo Stretto divenga realtà: «La Calabria sarà all’attenzione di tutto il mondo» e saranno creati «120mila posti di lavoro, altro che l’elemosina dei Cinque Stelle».

Tajani è determinato ad alleggerire il peso fiscale sul ceto medio: «Proporrò ai miei alleati di abbattere le tasse sugli stipendi più bassi, quelli dai 7,5 ai 9 euro all’ora. E di ridurre, e sono convinto che ci riusciremo, l’Irpef dal 35 al 33%, allargando la base imponibile. Il ceto medio non può continuare a portare sulle spalle la responsabilità di questo Paese senza il giusto riconoscimento». Il gran finale è per Meloni. Inizia dalle Marche, «anche ribattezzate Ohio». Lì la vittoria di Francesco Acquaroli dimostra che «i cittadini guardano alla concretezza di chili governa e non si fanno ammaliare dagli slogan facili. Non si fanno trattare da stupidi, non credono a chi dice “Vota il Pd nelle Marche e avrai lo stato di Palestina”». I marchigiani «hanno capito quanto quella mossa fosse disperata» e hanno visto «il cinismo di chi sfrutta le tragedie per tentare di raggranellare qualche voto».

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La premier torna più volte sulla questione palestinese. Lo fa per criticare i «figli di papà dei centri sociali che stanno creando problemi all’università La Sapienza, dove hanno sostituito la bandiera dell’Europa con quella della Palestina. E qui», ironizza, «a sinistra ci sarà un cortocircuito...». E lo fa lanciando un appello all’opposizione, affinché in parlamento voti la mozione in favore del piano di pace proposto da Donald Trump: «Mi piacerebbe che l’Italia votasse compatta per dimostrare che la pace la si vuole davvero». Una richiesta che spiazza i suoi avversari e crea divisioni nello stesso Pd. Del resto, avverte Meloni, «la pace non arriva perché Landini indice lo sciopero, non arriva perché i magistrati leggono i comunicati sulla Palestina prima delle udienze: arriva se qualcuno lavora a proposte serie». Insiste sulla confederazione rossa: c’è il record di nuovi occupati e «forse per questo la Cgil gli scioperi li deve fare per Gaza: perché vagli a spiegare che li deve fare per i lavoratori, visto come vanno le cose». Anche lei parla ai calabresi con la lingua dell’orgoglio, non con quella dell’assistenzialismo usata da Tridico e da chi lo sostiene. «Hanno candidato il padre del reddito di cittadinanza, adesso c’è il reddito di “regionalanza”. Perché loro vi vedono così, come persone che non sanno o non vogliono mettersi in gioco. Noi vi vediamo come un popolo fiero che chiede rispetto e risposte alla politica». Annuncia che è stato avviato l’iter per l’uscita della Calabria dalla gestione commissariale della sanità, «perché se lo merita». Una delle ultime stoccate è per la sinistra che in nome della lotta alla criminalità si oppone al Ponte e alle altre infrastrutture: «Se c’è il problema della criminalità combatti la criminalità, non combatti l’infrastruttura. Non ci vuole un genio per capirlo».

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