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Marche e dintorni, l'opposizione televisiva bocciata nelle urne

La questione investe e travolge tutto il pacchetto di mischia che il Pd e i suoi alleati inviano da anni nei talk-show
di Daniele Capezzone giovedì 2 ottobre 2025

3' di lettura

Garantito: qui a Libero resisteremo alla tentazione (c’è, ma la terremo a bada) di fare ironia sulla mancata elezione di Alessia Morani al Consiglio regionale delle Marche. Lo spirito cavalleresco ci impedisce qualunque atteggiamento non improntato al fair play, a maggior ragione verso chi ha appena perduto le elezioni. Anche perché – ecco il punto – il problema non riguarda una singola persona: ragionare in quei termini sarebbe una piccola volgarità, una cafonata che non ci appartiene, ma soprattutto sarebbe un’analisi difettosa.

Al contrario, a partire da Matteo Ricci, la questione investe e travolge tutta la “sinistra televisiva”, cioè il pacchetto di mischia che il Pd e i suoi alleati invia da anni nei talk-show. Mi riferisco ai politici più presenti e anche a più di qualche commentatore e opinionista. Sarà per le attitudini personali di ciascuno di questi faccioni televisivi; sarà per il meccanismo ultrapolarizzante delle trasmissioni; sarà (questo è il mio convincimento) per una linea politica radicalmente errata scelta dalla sinistra politica e da quella mediatica, frutto a sua volta di una clamorosa perdita di contatto con la realtà: ognuno scelga la causa principale. Ma il risultato è che, da qualche tempo, non appena i personaggi televisivamente più esposti del mondo progressista si confrontano con gli elettori in carne e ossa, raccolgono molto meno di quanto la loro oggettiva notorietà avrebbe fatto o farebbe presumere. E come mai? Se – vale per Ricci e per molti altri tra Pd, Avs e Cinquestelle – vai per mesi in tv a sostenere che l’immigrazione non è un problema, e che non c’è nessuna invasione.

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Se – anzi – spieghi che il rapporto tra immigrazione clandestina e criminalità è tutta “percezione” o una “narrazione securitaria” del centrodestra. Se racconti che il decreto sicurezza è una svolta autoritaria. Se gridi tutte le sere al ritorno del fascismo e di una pericolosa “onda nera”, la realtà è che stai correndo contromano in autostrada. E gli elettori – nell’unica forma a loro possibile – te lo fanno notare.

Ecco dunque il cuore della questione. Primo: la sinistra non verrà fuori dalla sua condizione ormai strutturalmente minoritaria finché non farà i conti con le opinioni dei cittadini (inclusi non pochi elettori di sinistra) sul trittico immigrazione-sicurezza-tasse. Secondo: su questo non c’è alcuna differenza tra il Pd e i suoi alleati (M5S e il duo Bonelli & Fratoianni). L’estremismo è ormai la cifra dominante della coalizione, e (senza polemica: si tratta di una pura constatazione) non c’è un solo tema sul quale il Pd abbia una posizione non intercambiabile con quella degli altri due partiti. Risultato? Al massimo possono esserci dei travasi, delle redistribuzioni di voti tra le tre forze, ma sempre all’interno dello stesso recinto, di un perimetro che non si allarga mai.

Terzo: se possibile, peggiore dei contenuti portati in tv da questi campioni, c’è solo il tono con cui lo fanno. Ogni sera una crisi isterica, uno sfogo rabbioso contro Meloni o contro Salvini (di recente anche contro Tajani); ogni serale politiche del governo presentate non come scelte legittime da cui l’opposizione dissente, ma come ferite contro la Costituzione, come sfregi contro i diritti umani, come anticamera di un nuovo regime.

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Ecco: tutto questo non fa più ridere, ma ormai irrita profondamente una porzione maggioritaria di elettori. I quali hanno i loro problemi, e non di rado potrebbero magari non essere del tutto soddisfatti dell’azione della maggioranza in alcuni settori. Ma cantare a reti semiunificate le canzoni della resistenza è diventato patetico al punto da produrre rigetto.

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