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A sinistra c'è aria di sconfitta: parte il fuggi fuggi da Elly Schlein

di Daniele Capezzone lunedì 3 novembre 2025

3' di lettura


Manca solo che qualcuno cominci a dire: «Elly chi?», marcando le distanze al punto da far finta di non conoscerla. Povera Schlein, a ben vedere questo destino se l’è proprio cercato, anzi, come questo giornale racconta da mesi se l’è costruito, l’ha inseguito “testardamente” (per usare un avverbio che le è caro).

Questa atmosfera da assemblea scolastica permanente, questo “allarme per la democrazia” ripetuto due volte a settimana, questo estremismo adolescenziale e in fondo impolitico, questa drammatica incapacità di articolare una proposta politica minimamente strutturata: tutto ciò ha creato, prim’ancora della sconfitta, il sentimento della sconfitta, il pre-sentimento della batosta nel suo stesso campo.

Com’è come non è, nessuno la vede più come credibile sfidante di Giorgia Meloni nel 2027. Di più: nessuno immagina un centrosinistra seriamente competitivo. E anzi molti inclusi svariati insospettabili- preconizzano nel referendum sulla giustizia della primavera 2026 una batosta anticipatrice di quella dell’anno successivo, un evento quasi preclusivo di una sfida reale alle politiche.

Il doppio schiaffo di Romano Prodi la scorsa settimana (prima da Lilli Gruber e poi da Massimo Giannini) ha assunto un valore di sentenza di Cassazione. Il Professore ha smontato il racconto del “rischio fascismo”, ha spiegato a chiare lettere che «la sinistra ha voltato le spalle all’Italia», e ha scandito ripetutamente il fatto che non si veda un’alternativa.

La cosa è stata due volte esiziale per Elly: a causa della credibilità di Prodi nel campo progressista, e anche per il fatto che il Prof, notoriamente, non è abitato da sentimenti personali negativi o astiosi nei confronti della giovane segretaria. Semplicemente, ne ha constatato l’inconsistenza politica, ha registrato un fatto.

Da quel momento - con la povera Schlein rimasta muta per giorni - il clima si è capovolto. Ieri Fabrizio Roncone, che a onor del vero già qualche giorno prima era stato severissimo con Schlein in tv a Restart, ha elencato sul Corriere della Sera quelle che ha chiamato “le trappole” sulla strada di Elly: le correnti interne al partito, la concorrenza esterna di Giuseppe Conte, quella più ravvicinata di Gaetano Manfredi e Silvia Salis (suggerirei di non trascurare nemmeno le ambizioni di Roberto Gualtieri, l’attuale sindaco di Roma). Insomma, tra chi vuole sgambettare Schlein e chi vuole “aiutarla” (espressione che in politica ha spesso un significato devastante, perché implica un giudizio di spaventosa debolezza del destinatario del presunto soccorso), nessuno scommette un euro su di lei.

Sempre ieri, su La Stampa, giornale allineatissimo al Pd e al sinistra-centro, il direttore Andrea Malaguti ha firmato una specie di necrologio politico della segreteria Schlein: «Non viviamo in uno stato autoritario», «se Schlein apre il dibattito, rischia che mezzo Pd la molli», «se recupera una posizione più europeista la mollano i Cinquestelle». E le ultime parole dell’editoriale? La cupa evocazione della «solita sconfitta». Insomma, c’è aria di fuggi fuggi.

L’abbraccio con l’Anm rischia di sortire sulla giustizia lo stesso effetto che, sulle questioni sociali, è stato determinato da quello con la Cgil di Landini. Schlein pare ormai in un vicolo cieco, insieme ai suoi pochi pasdaran. Resta da capire quanto tempo le concederanno tutti gli altri. La domanda non è più solo «Elly chi?», ma, a questo punto, «Elly fino a quando?».

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