Il dibattito attorno al Garante della Privacy s’infiamma. Dopo l’ultima puntata di Report anche la politica ha alzato i decibel della polemica. Soprattutto l’opposizione, che per tutta la giornata di ieri ha inondato l’etere di dichiarazioni più o meno centrate. Tutti e tutte chiedono l’azzeramento del Garante perché, dicono, asservito al governo. Governo che però quando i Commissari sono stati nominati era all’opposizione. Cosa che la premier non ha mancato di far notare. E allora ecco servito un bel cortocircuito ne quale la sinistra sembra essersi infilata.
A finire nel mirino delle opposizioni sono le presunte commistioni tra i membri dell’authority e la politica che, dicono, Report avrebbe smascherato. A finire nel tritacarne è stato soprattutto Agostino Ghiglia, ex deputato di Alleanza nazionale, accusato, appunto, di essere vicino a Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia. Ma come vengono eletti i quattro commissari?
Dal Parlamento: due dalla Camera dei deputati e due dal Senato. Così quando il governo giallo-verde li nominò era chiaro a tutti - anche a chi oggi strilla allo scandalo - che il presidente Pasquale Stanzione era gradito al Pd; Guido Scorza al Movimento Cinquestelle e Ginevra Cerrina Feroni alla Lega. Nulla di strano succede sempre così, anche quando al governo c’è la sinistra.
Fatta questa precisazione veniamo alle polemiche di ieri, con Schlein e Conte a chiedere l’azzeramento dell’organismo di controllo. Per la segretaria Pd «sta emergendo un quadro grave e desolante sulle modalità di gestione dell’Autorità Garante della privacy, che rende necessario un forte segnale di discontinuità». Quale? «Penso non ci sia alternativa alle dimissioni dell’intero consiglio. Senza un azzeramento - prosegue Schlein - e una ripartenza sarà impossibile ricostruire la fiducia dei cittadini nell’istituzione che deve tutelarne i diritti e assicurare la necessaria terzietà del collegio, anche rispetto alla politica». Il Pd, con il capogruppo in Senato Francesco Boccia ha anche presentato un’interrogazione parlamentare «per fare chiarezza sulle gravi circostanze emerse rispetto alle condotte dei componenti del Garante».
Il leader Cinquestelle, Giuseppe Conte, rincara la dose: «Le istituzioni di garanzia non possono diventare succursali di partito o di Colle Oppio. Noi chiediamo a nome del Movimento Cinquestelle l’azzeramento del Garante della privacy che ha perso la necessaria forza, credibilità e autorevolezza. Meloni dice di non avere competenza sull’Autority? - chiude Conte - Quanta ipocrisia».
Nella diatriba si è infilato anche Sigfrido Ranucci. Il conduttore di Report, ospite a Un giorno da pecora, ha spiegato che l’Authority: «È diventata nel tempo una sorta di tribunale politico dove i garanti decidono in base alla sensibilità politica, ai conflitti d’interesse, ai giochi clientelari». Parole pesanti.
Dal centrodestra è arrivata secca la replica di Giorgia Meloni: «L’attuale garante è stato eletto durante il governo giallo-rosso, quindi del Pd e del M5S. Il presidente è in quota Pd. Dire che sia pressato dal governo di centrodestra mi sembra ridicolo. Cioè - prosegue la premier - se il M5S e il Pd non si fidano di chi hanno messo alla presidenza dell’Autority non se la possono prendere con me, forse dovevano scegliere meglio. Poi, si può discutere la legge, se volete la rifacciamo, ma non l’ho fatta io: forse ve la dovreste prendere con qualcun altro...». Per Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fdi «la vera domanda è un’altra: ci sono altre colpe da espiare per la privacy oltre a quella di aver di aver avuto l’ardire di sanzionare l’intoccabile Report? Il messaggio che si vuol far passare è chiaro: chi tocca Report subisce il “metodo Report”, fatto di pedinamenti, controlli ossessivi e macchina del fango».
Ancora più duro l’intervento dell’esponente di Forza Italia Maurizio Gasparri: «Credo che ci sia un problema di menzogne sistematiche, diffuse, anche su sé stesso. La privacy è stata semmai molestata». In serata ancora Ranucci ha spiegato che «l’Authority dovrebbe dimettersi». Ma al momento i primi a nicchiare sull’azzeramento sono proprio i garanti. Il “grillino” Scorza a Repubblica spiega di aver pensato alle dimissioni, ma «la scelta, per ora è stata quella di restare. Gettare la spugna sarebbe una sconfitta. Naturalmente l’opzione resta sul tavolo». Poi ammette che «non ho ancora trovato grandi responsabilità o scelte che non rifarei». Netta anche la posizione di Ghiglia: «Un passo indietro? Non c’è nessun motivo per farlo».