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Fico, dalla barca non dichiarata alla scorta: tutte le contraddizioni del grillino

di S.D.M. mercoledì 12 novembre 2025

Roberto Fico

3' di lettura

Non è facile restare a galla, quando il mare politico si fa mosso e il vento soffia contro. Ma Capitan Ficus- al secolo Roberto Fico, ex presidente della Camera, ex moralizzatore del Paese, ex difensore del detto «uno vale uno»- ha deciso di navigare lo stesso. A bordo, manco a dirlo, della sua “Paprika”: uno yacht da 34 piedi, ormeggiato a Procida dopo un passato non proprio limpido nei porti di Nisida, dove - dicono - l’ancora pendeva su un suolo militare. E non un suolo qualunque: quello della Guardia di finanza. Insomma, un parcheggio abusivo d’élite. Di cui il nostro eroe pentastellato parla con insofferenza per dire che «la destra fa una campagna elettorale su un gozzo, dove chiaramente è tutto perfetto e non c’è niente. Rigetto al mittente tutte le accuse infamanti che fanno, perché fanno illazioni che non stanno né in cielo né in terra». Ma forse per mare.

Fico, da ex numero uno di Montecitorio, dovrebbe infatti sapere che ogni anno è tenuto a dichiarare il proprio stato patrimoniale. Ed è qui che arriva la stoccata del senatore di Fratelli d’Italia Antonio Iannone: «È sicuro di aver rispettato l’articolo 4 della legge 5 luglio 1982 n. 441? Se lo vada a rileggere il Presidente Fico, perché non ci sembra che entro tre mesi dalla cessazione del suo ufficio abbia comunicato che, intanto, era diventato proprietario di una barca». Bum. «Dalla documentazione pubblicata dalla Camera», spiega ancora Iannone, «non ve n’è traccia».

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Come mai? «Fico continua a fare lo gnorri», sottolinea il meloniano, «ma questo è un fatto molto grave». «Se il presidente uscente della Camera ha omesso di comunicare una mutazione del suo stato patrimoniale», è la conclusione di Iannone, «saremmo al cospetto di una indegnità istituzionale anche pregressa». E pensare che, fino a qualche anno fa, Fico incarnava l’ascetismo grillino. L’uomo degli scontrini, del «vado a piedi» al lavoro, dell’acqua pubblica e della giustizia sociale. In estate rischiavi di incrociarlo in bermuda, occhiali da sole, a discutere di autonomia differenziata sul ponte del “Paprika” col mojito in mano. Perché il punto non è la barca in sé.

Ognuno, in fondo, ha diritto al suo lusso privato. È il silenzio ostinato a puzzare di ipocrisia. Come quando Gasparri, con la consueta finezza chirurgica, ha chiesto: «Fico non lavora da anni, come l’ha comprata questa barca?». Già, come? Qualcuno lo ricorda ancora sull’autobus, zaino in spalla, salutare il popolo con aria di chi aveva sconfitto la casta. Ora, se ti avvicini troppo, rischi che ti fermi la scorta. Perché sì, dopo la barca, arriva il capitolo due della saga: «Bello Fico e la super scorta».

Per diciotto mesi, infatti, il nostro moralizzatore ha goduto di un servizio di protezione “misto”, metà romano e metà napoletano, fuori da ogni logica ministeriale. E fuori da ogni budget: centomila euro di costo extra, secondo le stime più sobrie. Il privilegio, però, non finisce qui. Pare che uno degli agenti romani lo seguisse perfino sugli aerei. Armato, a spese pubbliche, come se tra Roma e Capodichino ci fossero pirati o corsari pronti ad assaltare Capitan Ficus in volo. E quando non si poteva salire armati, lui partiva da solo, per poi ritrovare la tutela al gate d’arrivo. E quando restava nel capoluogo, la scorta alloggiava in un albergo a quattro stelle a Posillipo, lo stesso quartiere dove abita il comandante.

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Non proprio un campeggio grillino. Le cui stanze, ironia della sorte, hanno assistito alle feste erotiche e “stupefacenti” di Diego Armando Maradona negli anni d'oro. Oggi, finalmente, la scorta è tornata normale, affidata alla Questura partenopea. Ma il danno d’immagine resta. E mentre Capitan Ficus tenta di spiegare ai campani che vuole «una regione più equa», la sua barca resta lì, «Paprika», a dondolare placida nel porto di Procida, in un abisso di incoerenza.

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