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Pd, spreca altri 5 miliardi per l'acqua della Campania

De Luca lancia in campagna elettorale un maxi-bando per la gestione degli acquedotti, anticipando le nuove regole nazionali. Cirielli: gestione disastrosa
di Simone Di Meo giovedì 13 novembre 2025

3' di lettura

La forma dell’acqua. Privata o pubblica? Popolare o lottizzata? Bel mistero, in Campania. Cinque miliardi di euro all’anno per trent’anni di concessione, una società tutta nuova e un bando lanciato come una bomba nel bel mezzo della campagna elettorale. La Regione di don Vincenzo De Luca ha deciso di ridisegnare il futuro dell’acqua con la delicatezza di un geyser, accelerando i tempi per affidare la gestione del cosiddetto Sistema Acquedottistico della Grande Adduzione Primaria di Interesse Regionale – Gapir, per gli amici –, una ragnatela di condotte che parte dai principali invasi montani e serve l’intera infrastruttura regionale.

Tutto molto ambizioso. Forse troppo. Il piano è semplice sulla carta, contorto nei fatti. Una società mista, nuova di zecca, con maggioranza pubblica (51%) e minoranza privata (49%), scelta tramite gara europea. In palio c’è una torta complessiva da 150 miliardi (in pratica, quanto le manovre finanziarie degli ultimi cinque anni) con oltre 2 miliardi di investimenti previsti. Una parte sarà coperta da contributi pubblici, mentre il resto toccherà al socio privato, che dovrà anche dimostrare muscoli finanziari e visione industriale. A oggi, le condotte sono gestite da soggetti diversi: Acqua Campania (gruppo Italgas) in testa, affiancata da enti interamente pubblici.

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TEMPISMO
Ma la vera notizia è il tempismo. Il termine per presentare le offerte scade il 13 febbraio 2026, esattamente sei settimane dopo l’entrata in vigore del nuovo bando-tipo nazionale dell’Arera. Una norma che renderà obbligatori criteri unificati per tutte le gare del servizio idrico. In Campania, però, si è pensato bene di muoversi prima. Una fuga in avanti? Un salto nel vuoto? O solo l’ennesima partita giocata in anticipo per aggirare le future maglie più strette della regolazione? I malpensanti una risposta ce l'hanno già. Quel che è certo è che Arera, d’intesa con Anac, ha fissato paletti chiari: più concorrenza, procedure standardizzate, gestione efficiente, innovazione e trasparenza. Obiettivi che sembrano una bestemmia se confrontati con l’attuale situazione campana, dove – parole del candidato di centrodestra Edmondo Cirielli – «in questi dieci anni, la sinistra ha trasformato il sistema idrico in un bacino di clientelismo, inefficienza e sprechi».

«Le reti sono vecchie, veri colabrodo», ha aggiunto, «e le promesse di riforma sono rimaste solo propaganda». Il candidato governatore del centrodestra non si è limitato alla diagnosi: ha accusato direttamente chi ha governato finora. «Il vero problema in Campania non è la forma giuridica della gestione: è chi ha gestito e provocato il disastro odierno. Oggi l’acqua non è in mani pubbliche ma nelle mani del Partito democratico», ha dichiarato il viceministro degli Esteri, puntando il dito contro la sinistra che, a suo dire, ha affiogato la gestione di un bene prezioso come l'acqua nella palude dell'inefficienza. 

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POPULISMO
Il suo avversario di sinistra, Roberto Fico, non sa che cosa dire, e non è una novità. La bandiera pentastellata dell’acqua pubblica, sventolata da chi si è appena alleato con quanti l’hanno controllata per un trentennio, non riesce proprio a garrire al vento del populismo. Tant’è che i comitati di cittadini e le associazioni, che al tempo dei primi meet-up grillini facevano il tifo per lui, ora hanno iniziato a sparare a palle incatenate contro l’inerzia e il chiacchiericcio sterile di Fico.

E così l’ex presidente della Camera rischia di annegare in un bicchiere d’acqua che lui stesso si è versato. Nel frattempo, i magistrati contabili della Corte dei Conti ha acceso i fari sull’operazione targata Vincenzo De Luca. In una relazione resa pubblica nel giugno scorso, la magistratura contabile ha segnalato due buchi neri dell’intera architettura di gara. Il primo è l’ampiezza dell’oggetto sociale della futura società: troppo vago, troppo largo, troppo rischioso. Il secondo è l’assenza dello schema di contratto di servizio: un dettaglio non proprio secondario, visto che si parla di miliardi pubblici e obblighi pluridecennali. Senza questi chiarimenti, sostengono i giudici, è impossibile valutare la tenuta economica del provvedimento. In altre parole: si naviga a vista, e con una zattera bucata. L’acqua, intanto, non aspetta. Si disperde, evapora, gocciola da condotte obsolete. E la sensazione è che questa maxi-gara più che una svolta, sia l’ennesimo giro di giostra intorno alla diga del potere. Prosit.

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