Da queste elezioni regionali, le ultime tre del 2025, si possono trarre poche, ma importanti certezze. La prima: Veneto, Campania e Puglia non cambiano colore. La seconda: tredici milioni di italiani interessati sono un test politico, al netto di una affluenza ancora drammaticamente in calo, e quindi il voto è destinato ad avere delle ripercussioni anche a livello nazionale non tanto tra centrodestra e centrosinistra, ma all'interno delle due coalizioni. La terza: il centrosinistra esulterà per i due successi di Roberto Fico e Antonio Decaro, parlerà di "due a uno" ma, ancora una volta, prenderà in giro i propri elettori nel tentativo di mascherare ancora una volta una difficoltà politica sempre più evidente.
Iniziamo dal primo punto: come previsto già dagli ultimi sondaggi, non c'è stata gara in nessuna delle tre ragioni. In Veneto Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso, era un candidato troppo debole per le opposizioni, sacrificato sull'altare di una sconfitta certa. Nel 2020 Luca Zaia aveva ottenuto il 76% dei voti e solo il no al terzo mandato ha impedito al Doge di rimanere in sella. Il suo giovane successore Alberto Stefani, leghista, non poteva aspirare a tanto ma ha comunque centrato il risultato in scioltezza. La vera partita, semmai, è il derby tra la Lega e Fratelli d'Italia, un braccio di ferro tra alleati che avrà effetti anche sulle candidature delle prossime regionali.
Stesso scenario in Campania, dove Fico ha messo d'accordo Elly Schlein e Giuseppe Conte aprendo però l'eterno dossier "campo largo". La vittoria di Fico passa in secondo piano rispetto all'eterna domanda: chi prende più voti tra Pd e 5 Stelle? La verità è che ogni tornata è una curva pericolosa per i giallorossi, minati da una alleanza fragile e legata a troppe incognite. L'eredità del campione di preferenze Vincenzo De Luca (che 5 anni fa aveva centrato il bis con il 69%) proprio come nel caso di Zaia era troppo pesante: impossibile pareggiarlo. Resta sul neo-governatore l'ombra dello Sceriffo, che ha ottenuto in cambio del via libera al grillino il sì a una sua lista personale. Che, c'è da giurarlo, ipotecherà parecchie scelte della prossima giunta campana, a livello politico e mediatico. In ogni caso, con Edmondo Cirielli entrato in campo per il centrodestra troppo tardi per rovesciare i pronostici, il successo del centrosinistra è tutt'altro che "travolgente".
Pieno e rotondo invece il risultato di Antonio Decaro in Puglia, ma in questo caso non c'erano molti dubbi. Il Pd lo ha strappato dall'Europarlamento dove lo aveva spedito solo un anno fa, puntando sulla sua pioggia di preferenze e lo ha riportato nella sua regione per lo stesso motivo, C'era da battere un civico come Luigi Lobuono (un po' il Manildo di centrodestra) ma soprattutto sostituire Michele Emiliano, che pesa molto più del 46% ottenuto nel 2020. L'ex sindaco di Bari ha fatto di tutto per togliersi dal cono d'ombra del suo padrino politico. Difficile però che l'ex magistrato, dopo 20 anni di potere a tutto tondo, decida di farsi da parte (al di là delle promesse e delle parole del momento). E sarà forse questo per Decaro il fardello più pesante da portare.
Qui si arriva al terzo punto. Dem e pentastellati esultano ma dimenticano che il conteggio generale del 2025 recita 3-3, considerando le altre sfide dell'anno. Al centrodestra sono andate Marche, Calabria e Veneto, al centrosinistra Toscana, Campania e Puglia. Nessuno è riuscito a strappare all'avversario una regione. Il risultato assume valore però pensando al fatto che siamo al terzo anno di governo Meloni, e tradizione vuole che chi siede a Palazzo Chigi dopo così tanto tempo venga in qualche modo "punito" alle urne alla prima occasione possibile, anche solo per "insofferenza" psicologica. Invece la maggioranza ha tenuto, in alcuni casi incrementato il proprio vantaggio come peraltro confermano i sondaggi settimanali, di qualsiasi estrazione. Il pareggio, insomma, per la premier e i suoi alleati è qualcosa di più: è una piccola, grande vittoria morale. Sono Schlein e Conte, invece, che da mesi profetizzavano la "spallata al governo", a dover riconoscere che lo sfondamento nel campo avversario, con la formula dell'ammucchiata matta, non c'è e non ci può essere. Un bel problema, in vista delle elezioni politiche.