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Elezioni, ecco perché si rimpiange il proporzionale, il sistema senza sorprese...

L’assenteismo è arrivato alla consistenza di una maggioranza non relativa ma assoluta, come la sinistra ha dimenticato saltellando allegramente per la vittoria a Napoli
di Francesco Damatomercoledì 26 novembre 2025
Elezioni, ecco perché si rimpiange il proporzionale, il sistema senza sorprese...

3' di lettura

«Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie», scrisse Giuseppe Ungaretti raccontando la prima guerra mondiale alla quale partecipava. Non siamo in guerra in Italia, anche se vi si gioca ogni tanto nelle città fra le proteste di qualche sindaco contro il ministro dell’Interno intenzionato non a scappare ma a vincerla, una volta che l’amministrazione locale l’ha di fatto incoraggiata condividendo le motivazioni degli agitatori ormai professionisti, e a tempo perso pure razzisti. No, ripeto. Non siamo in guerra. Ne siamo solo circondati. Ma quelle foglie che cadono dagli alberi, spesso anche fuori stagione, nelle primavere elettorali e non solo nell’autunno di questa stagione conclusasi col voto in Veneto, Puglia e Calabria, sono un po’ come gli elettori che non votano. E non occasionalmente ma a posto, votando in fondo anch’essi ma a modo loro, contro tutti indistintamente i partiti e gli schieramenti nei quali si collocano.

L’assenteismo è arrivato ormai alla consistenza di una maggioranza non relativa ma assoluta, come Giuseppe Conte, Roberto Fico ed Elly Schlein, in ordine alfabetico, più comprimari, hanno dimenticato saltellando allegramente per la vittoria a Napoli, dove la partecipazione alle urne è scesa sotto il 40 per cento. E per effetto di questo fenomeno la sinistra nel suo complesso ha potuto vincere un turno elettorale in una regione dove ha perso 800.000 voti: ottocentomila in lettere.

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Un fenomeno, dicevo. Che non è di ordine sociale o persino penale, come l’ho visto trattare di recente su un cosiddetto grande giornale proponendo di ripristinare l’obbligatorietà del voto e la sanzionabilità di chi si sottrae. Magari riempiendo i campi di calcio requisiti come prigioni. Il fenomeno è tutto politico. E i politici, professionisti o dilettanti che siano, di sinistra ma anche di destra, e pure di centro incapace di vivere da solo, in qualsiasi combinazione improvvisata a ridosso del voto, debbono decidersi ad affrontarlo. Poiché non si può naturalmente tornare alle pratiche clientelari del compianto armatore Achille Lauro proprio a Napoli, distribuendo una scarpa prima del voto e l’altra dopo, bisogna affrontare il toro per le corna. Cioè decidersi all’ennesima riforma della legge elettorale, anche a costo di fare rivoltare le ceneri di Indro Montanelli. Che di legge elettorale non voleva sentir parlare. E quando Mario Segni lo convinse a sostenerlo prima per l’abolizione delle preferenze e poi per il passaggio al sistema maggioritario da quello proporzionale, gli procurò l’ultima, forse, e più grave crisi di depressione della sua vita.

Nel marasma seguito a quella riforma con tanto di timbro, visto o permesso referendario il povero Montanelli cercò di trovare qualche consolazione, politica e culturale in qualche festa addirittura dell’Unità, piuttosto che tornare a parlarne con l’ormai odiato, respinto Silvio Berlusconi, che pure gli aveva salvato il Giornale nel momento più difficile e pericoloso della sua diffusione. Nell’ultima chiacchierata telefonica con Montanelli raccolsi il pentimento per l’avventura maggioritaria e il rimpianto del proporzionale cui poteva e doveva bastare il premio di maggioranza voluto da Alcide De Gasperi, scambiato per “truffa” dai comunisti e non scattato per una manciata di voti di regolarità sospetta. Su cui il ministro dell’Interno Mario Scelba voleva che si facessero accertamenti nei modi dovuti, trattenuto però dallo stesso De Gasperi più per stanchezza forse che per paura, visto che sarebbe morto di lì a poco.

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