Birmania, domenica elezioni supplettive Suu Kyi: "Non saranno libere e giuste"
Esteri
Yangon, 30 mar. - (Adnkronos) - Alle elezioni supplettive di questa domenica in Myanmar sono in palio soltanto 45 seggi sugli oltre 1.160 dei tre rami del parlamento. Ma, al di la' delle cifre, il voto del primo aprile potrebbe cambiare molte cose. Perche' per la prima volta e' candidata Aung San Suu Kyi, la leader dell'opposizione birmana, e sulla regolarita' del voto si gioca la possibile revoca di una parte delle sanzioni internazionali. Il voto di domenica e' quindi un passo importante sulla strada della democratizzazione di questo paese asiatico guidato da una dittatura militare fin dal 1962. Accolta ovunque da folle che gettavano petali di fiori in suo onore durante la campagna elettorale, Suu Kyi e' ben cosciente della posta in gioco. E oggi ha voluto parlare con chiarezza ai giornalisti: "non penso di poter dire che queste elezioni siano libere ed eque, se guardiamo alle irregolarita' avvenute". Irregolarita' che vanno "oltre quanto e' accettabile in una elezione democratica". "Tuttavia siamo determinati ad andare avanti perche' il nostro popolo lo vuole" -ha aggiunto- "dato che lavoriamo per una vera riconciliazione, cercheremo di tollerare quanto e' avvenuto". Suu Kyi si candida a Kawhmu, un distretto rurale vicino a Yangon (l'ex capitale Rangoon). Qui sono stati iscritti centinaia di morti nei registri elettorali, mentre 1300 aventi diritto dal voto sono rimasti esclusi, denuncia il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld). Vi sono state anche intimidazioni e distruzione di materiale elettorale. Ma la premio Nobel correra' lo stesso e verra' certamente eletta, diventando la leader dell'opposizione in parlamento. La sua vittoria e' attesa anche dal presidente del Myanmar, Thein Sein, alla guida di un governo formalmente civile, ma di fatto sostenuto dai generali. Giunto al potere dopo le elezioni del novembre 2010, Thein Sein ha inaugurato dallo scorso agosto una stagione di dialogo con Suu Ky. Da allora centinaia di prigionieri politici sono stati liberati, sono stati aperti negoziati con i guerriglieri delle minoranze etniche e varate leggi sulla formazione di sindacati. Le sue aperture hanno portato in dicembre ad un primo risultato sul piano internazionale con la visita del segretario di Stato americano Hillary Clinton. Il prossimo obiettivo e' la revoca delle sanzioni internazionali da vent'anni in vigore contro il regime. L'Unione Europea dovra' decidere il mese prossimo se cancellare le proprie sanzioni e lo fara' in base all'andamento del voto di domenica, dove sono candidati diversi esponenti dell'Nld. Non a caso, per la prima volta, il Myanmar ha autorizzato l'ingresso di un centinaio di giornalisti e di un piccolo numero di osservatori elettorali americani, europei e dell'Asean, l'Associazione delle nazioni del sud est asiatico. Thein Sein vuole far ripartire l'economia del suo paese aprendolo ai contatti con l'Occidente. Suu Kyi e' consapevole di essere la chiave per far cadere le sanzioni e su questo si gioca la delicata partita per il processo di democratizzazione in vista delle elezioni del 2015. E' la prima volta che la premio Nobel, figlia dell'eroe della Birmania indipendente, si candida ad un seggio. Nel 1990, quando l'Nld vinse a stragrande maggioranza e i generali annullarono il voto, Suu Kyi si trovava agli arresti domiciliari. Le successive elezioni, nel novembre 2010, sono state boicottate dall'Nld perche' la premio Nobel, sempre ai domiciliari come era accaduto per 15 degli ultimi 20 anni, ne era stata esclusa. Suu Kiy fu liberata una settimana dopo il voto, quando era stato ormai eletto un parlamento dominato dal partito vicino ai generali, con il 25% dei deputati scelti direttamente dai militari. Il processo di democratizzazione in Myanmar e' seguito con molta attenzione in Occidente, per le prospettive economiche, e non solo, che potrebbe aprire. Thein Sein ha infatti gia' dimostrato di volersi affrancare dallo stretto rapporto politico-economico con Pechino, cancellando un importante contratto per la costruzione di una diga che aveva creato forti proteste fra le popolazioni locali per i rischi ambientali.