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Esmo: più vita alle donne con un tumore dell'ovaio

L'associazione olaparib-bevacizumab riduce del 41 per cento la progressione di malattia e la mortalità nelle donne con tumore dell'ovaio in fase avanzata. I risultati dello studio PAOLA-1 presentati all'Esmo 2019 a Barcellona

Maria Rita Montebelli
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Le forme di tumore ovarico in fase avanzata possono adesso contare su un nuovo trattamento in grado di prolungare in modo significativo la sopravvivenza, bloccando la progressione del tumore. E' il messaggio di speranza offerto alle donne affette da questa condizione proveniente dallo studio PAOLA-1, appena presentato al congresso europeo di oncologia a Barcellona. L'aggiunta dell'olaparib alla terapia tradizionale, rappresentata dal bevacizumab ha prodotto, in questo studio, una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte da tumore dell'ovaio in fase avanzata del 41 per cento, rispetto alle donne trattate col solo bevacizumab. Le pazienti trattate con l'associazione dei due farmaci hanno raggiunto infatti  i 22,1 mesi di sopravvivenza libera da progressione del tumore, contro i 16,6 mesi delle donne trattate col solo bevacizumab. Un guadagno di vita senza peggioramento della malattia che vale per tutte le tipologie delle donne affette da tumore dell'ovaio, ma che è ancora più marcato nelle portatrici della mutazione BRCA (il gene Angelina Jolie) o in quelle con un altro biomarcatore (le cosiddette HDR-positive), che arrivano ad oltre 37 mesi di sopravvivenza senza progressione di malattia. “PAOLA-1 è il secondo studio di fase III positivo - afferma Nicoletta Colombo, professore associato di Ostetricia-Ginecologia presso l'Università Milano-Bicocca e Direttore Programma Ginecologia Oncologica dell'Istituto Europeo Oncologia - che ha coinvolto olaparib nel mantenimento in prima linea del tumore ovarico avanzato. Un anno dopo la presentazione dei dati dello studio SOLO-1, i risultati di PAOLA-1 confermano l'efficacia di questo PARP inibitore nelle pazienti con mutazione BRCA e dimostrano un vantaggio significativo anche nelle pazienti che non presentano tale mutazione”. “Per le donne con tumore ovarico avanzato – ricorda il professor Sandro Pignata, direttore reparto Uro-Ginecologico dell'Istituto dei Tumori ‘Pascale' di Napoli – il rischio di recidiva è molto elevato. Nel 70 per cento di loro la malattia tende a rimanifestarsi entro tre anni dalla diagnosi iniziale. Il fine del trattamento di mantenimento in prima linea per queste pazienti è proprio quello di ritardare quanto più possibile la recidiva. Nello studio PAOLA-1, i risultati con olaparib, aggiunto a bevacizumab, sono stati significativi e dimostrano la potenzialità di ridurre del 41 per cento questo rischio”. Il tumore dell'ovaio colpisce in Italia circa 5 mila pazienti l'anno, ed esordisce intorno ai 55-65 anni d'età. A 5 anni sopravvive a questa neoplasia solo il 19% delle donne. Per questo è così importante trovare nuovi armi per combattere questo tumore e ogni studio che dimostri l'efficacia di una nuova strategia terapeutica è accolto con grande favore dalla comunità scientifica internazionale. Anche lo studio PAOLA-1 è stato molto valorizzato al congresso europeo di oncologia, con la presentazione dei risultati durante il Simposio Presidenziale. Olaparib è approvato per il trattamento del tumore dell'ovaio in fase avanzata e del tumore della mammella metastatico, ma ha al suo attivo studi dai risultati positivi anche nel tumore del pancreas e della prostata. Il farmaco appartiene alla classe dei PARP-inibitori, che agiscono impedendo al tumore di riparare il suo DNA e favorendo così la morte delle cellule cancerose. Approvato in 64 Paesi del mondo, è stato utilizzato finora per trattare oltre 25 mila pazienti. Donne e famiglie alle quali questo farmaco innovativo ha regalato un pezzo di vita in più. Strappandolo al tumore. (MARIA RITA MONTEBELLI)

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