Ipoglicemia, la ‘faccia nascosta'“Rischia chi fa insulina e i tipo 1”
E' una complicanza di cui poco si parla, ma che può dare gravi complicanze sia a breve che a lungo termine. Ecco come ridurne il rischio con le nuove tecnologie e come gestire un episodio di ipoglicemia
Sono 4 milioni le persone con diabete in Italia. Almeno quelle con diabete diagnosticato perché un altro milione ancora non sa di essere affetto da questa condizione. Sono solo 200-300 mila le persone affette da diabete di tipo 1; tutto il resto, la stragrande maggioranza di questo esercito di persone, è affetto da diabete di tipo 2. Si parla tanto, e giustamente di diabete, sia per il numero importante di persone che riguarda, tra pazienti e i loro familiari, sia per le complicanze terribili che si trovano ad affrontare negli anni quelli che ‘ho solo un po' di glicemia'. Gli specialisti raccomandano di essere rigorosi nel tenere a bada i livelli di glicemia, perché un diabete mal gestito espone al rischio di infarto, ictus, insufficienza renale, amputazioni, perdita della vista e aumenta la possibilità di ammalarsi di tanti tumori e di qualsiasi infezione. Ma questa è storia nota. O almeno dovrebbe esserlo, viste le tante volte che il concetto è stato ribadito. Dai medici e dai media. Il diabete però ha anche un'altra dimensione, molto più subdola, nascosta, quasi privata perché chi la sperimenta la vive a volte con un senso di disagio, quando non di vergogna. E' l'ipoglicemia, l'effetto indesiderato delle terapie anti-diabete. Dell'insulina innanzitutto, ma anche delle vecchie pillole a base di sulfaniluree e di glinidi. Queste ultime sono state relegate dai diabetologi nella ‘soffitta' dei vecchi farmaci che hanno fatto la storia del trattamento di questa condizione, soppiantante per fortuna da farmaci 3.0, molto più efficienti e sicuri. Anche sul fronte dell'insulina, col terzo millennio ci sono state novità importanti. Ma l'insulina, farmaco indispensabile e salva-vita per le persone con diabete di tipo 1 (per le quali è l'unico trattamento possibile) e per quelle con un diabete di tipo 2 ‘di lungo corso', anche in versione moderna e smart, le ipoglicemie purtroppo continua a darle. Gli specialisti consigliano di tenere il diabete ‘a stecchetto', di premere sull'acceleratore dell'emoglobina glicata (la ‘misura' del compenso della glicemia), portandola se possibile intorno al fatidico 7 per cento o anche un po' sotto. Ed è giustissimo, perché questo riduce le complicanze micro e macrovascolari. Ma può aumentare purtroppo il rischio di ipoglicemie. Evenienze sgradevoli per usare un eufemismo, se non pericolose al punto da far rischiare la vita. Soprattutto quando compaiono come un ladro, durante il sonno notturno. O quando si è da soli e non si prestata attenzione ai campanelli d'allarme premonitori. Che cos'è l'ipoglicemia. “Tecnicamente – spiega la dottoressa Roberta Assaloni, diabetologa presso l'AAS2 di Monfalcone – per ipoglicemia si intendono dei valori nel sangue inferiori a 70 mg/dl e per ipoglicemia grave, valori inferiori a 55 mg/dl. Può essere annunciata da sintomi quali tremori, sudorazione, ansia, irritabilità, vertigini. Ma se non corretta subito, progredisce e rende impossibile compiere le normali attività, come anche correre a cercare degli zuccheri da consumare subito per far risalire i livelli di glicemia nel sangue”. Quando il glucosio in circolo si abbassa troppo, il cervello va in tilt e il paziente perde progressivamente il controllo delle proprie azioni e dei propri pensieri, fino a perdere conoscenza o a presentare delle convulsioni. Purtroppo molte persone affette da diabete da molti anni, possono non avvertire più i sintomi d'allarme e andare incontro senza accorgersene a livelli bassissimi di glicemia. Fino a trovare in qualche caso la morte, magari nel sonno (è successo di recente a Roma, ad un ragazzo ‘tipo 1', tornato da un concerto rock). Quando la glicemia scende sotto 50, l'aiuto può venire solo da un'altra persona che provvede a somministrare bustine di zucchero o bevande zuccherate o, nei casi più gravi a fare un'iniezione salvavita di glucagone, l'ormone ‘antidoto' dell'insulina. Se la crisi ipoglicemica interviene mentre la persona è alla guida di un'auto, ci può scappare purtroppo anche un incidente. Ma queste sono solo le complicanze ‘acute', cioè quelle a breve termine dell'ipoglicemia. Quando questi episodi si ripetono con una certa frequenza, alla lunga aumenta il rischio di eventi cardio-vascolari, di alterazioni cognitive fino alla demenza e peggiora notevolmente la qualità di vita. Chi ha provato una crisi ipoglicemica anche solo una volta nella vita la descrive come un'esperienza terribile. Le nuove tecnologie di monitoraggio continuo o flash della glicemia, consentono di individuare con maggior precisione e tempestività l'arrivo di una crisi e rappresentano un vero e proprio scudo contro questa pericolosa complicanza. Come si corregge l'ipoglicemia. La regola che a tutte le persone con diabete viene subito insegnata, tra le varie istruzioni per l'uso per imparare a convivere con questa condizione, è la cosiddetta ‘regola del 15', che significa: in caso di ipoglicemia, assumi subito 15 grammi di zuccheri semplici (3 bustine di zucchero, mezzo succo di frutta o di coca cola, pastiglie di glucosio, ecc); poi riprova la glicemia dopo 15 minuti e, se è ancora bassa, prendi alti 15 grammi di zucchero e così via finché la glicemia non è tornata a livelli normali (cioè sopra 80 mg/dl). Tutto ciò però funziona solo se la persona è cosciente ed è in grado di assumere zucchero per bocca, da sola o aiutata da un'altra persona. Quando la glicemia si abbassata al punto che la persona non è più in grado di prendere cose per bocca, resta solo la possibilità dell'iniezione di glucagone. Questa specie di antidoto alla crisi è venduto in una siringa da ricostituire; nella siringa c'è del liquido che va miscelato ad una polvere, poi si aspira il tutto nella siringa e si inietta in un braccio e nella coscia. Sembra facile, ma anche una persona esperta può metterci quasi due minuti a compiere questa operazione. Senza contare l'agitazione che può prendere un genitore di fronte ad un figlio con le convulsioni o in coma. Anche in questo campo la ricerca per fortuna ha fatto passi da gigante e ha portato alla messa a punto di una formulazione di glucagone intranasale. In caso di emergenza basta ‘spruzzare' il prodotto nel naso della persona in ipoglicemia; si assorbe da solo, non è necessario inalarlo attivamente. E soprattutto agisce subito. In Italia, arriverà però solo verso la metà del prossimo anno. Il glucagone insomma è un farmaco salvavita e qualunque persona con diabete, in particolare quelle in terapia insulinica e i ‘tipo 1' dovrebbero sempre portare con sé questo farmaco. “Purtroppo – rivela la dottoressa Assaloni – il 48 per cento delle persone con diabete di tipo 1 non lo ha con sé”. Quei bambini ‘tipo 1'. Un capitolo a parte è quello del diabete di tipo 1 in età pediatrica. Il ‘tipo 1' è una malattia autoimmune che causa la distruzione delle cellule del pancreas produttrici di insulina e costringe chi ne è affetto ad una terapia ‘sostitutiva' a vita, attraverso le iniezioni di insulina o la somministrazione di insulina mediante microinfusore. “A soffrire di questa condizione nel mondo – afferma Riccardo Schiaffini, diabetologo dell'ospedale Bambino Gesù di Roma – sono 550 mila giovani pazienti. L'arrivo delle nuove tecnologie, sia sul fronte del monitoraggio continuo della glicemia (attraverso i glucosensori), che dei microinfusori e delle nuove insuline, ha fatto la differenza per questi bambini e per le loro famiglie. Con i sistemi di monitoraggio continuo della glicemia ad esempio oggi i genitori possono seguire ‘da remoto', cioè da casa o dall'ufficio ad esempio, l'andamento delle glicemie del figlio a scuola. Alcuni microinfusori sono dotati di allarmi e di sistemi che bloccano l'erogazione dell'insulina quando il glucosensore segnala un calo repentino della glicemia”. Il bambino con diabete di tipo 1 a scuola. E il tema della scuola, parlando di bambini con diabete di tipo 1, è uno dei più scottanti. Qualche Regione lo sta affrontando con grande maturità, umanità ed efficienza, ma la strada da fare è ancora tanta. “Per chi ha due figli con diabete di tipo 1, uno esordito a 13 anni, l'altro a due anni – afferma Rita Stara, vice-presidente di Diabete Italia – il tema della scuola è stato da sempre prioritario, fino a diventare una battaglia di vita, con l'obiettivo di fare dei bambini con diabete di tipo 1 “bambini come gli altri, in mezzo agli altri”. In Emilia Romagna dal 2012 abbiamo promosso delle linee guida di indirizzo della gestione del diabete a scuola e lo scorso settembre, una circolare integrativa ha reso obbligatoria la formazione per tutto il personale scolastico e promuove l'accesso alle tecnologie”. Ma l'Emilia Romagna è un'isola felice. In tante altre regioni d'Italia la realtà è fatta di genitori che lasciano il posto di lavoro per poter passare la mattina seduti fuori della classe dei figli, pronti a intervenire in caso di glicemie ballerine. Eppure, basterebbe fare formazione (e la scuola dovrebbe essere un luogo deputato a questo!) al personale scolastico per metterlo in condizioni di affrontare delle emergenze che hanno delle semplici e chiare ‘istruzioni per l'uso'. Diabete di tipo 1, quanta ignoranza! “La comunicazione sul diabete di tipo 1 non funziona”. A dirlo è Francesca Ulivi, esperta di comunicazione, affetta da diabete di tipo 1 da una decina d'anni. Non si spiegherebbero diversamente le tante ‘bufale' che circolano su questa condizione, caratterizzata dal fatto che “il paziente si somministra tutti i giorni una terapia che può risultare mortale, 24 ore su 24, e ne decide lui stesso le dosi”. E il debunking è d'obbligo di fronte a bufale tipo ‘fossi in te, non farei l'insulina; meglio imparare a gestire le emozioni', ‘vedrai che da grande gli passa', ‘mangiare legumi, bacche di goji e curcuma cura il diabete' o ‘non fare l'insulina che diventi dipendente'. Pazienti e famiglie, già provate da questa condizione devono fare i conti tutti i giorni con il ‘canto della sirene' di chi promette di ‘guarire' il diabete in 3 settimane (i più ‘bravi' lo fanno addirittura in 5 giorni) o di curarlo con le ‘staminali'. C'è poi tutto il repertorio di quegli articoli che annunciano l'ennesimo studio che ha trovato la ‘cura' definitiva. Salvo poi scoprire che si riferiva ad un esperimento sui topi. (MARIA RITA MONTEBELLI)