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Fertilità: tra false speranze e qualche tabù che (per fortuna) cade

Presentati negli scorsi giorni a Milano nel corso di una tavola rotonda sul tema della genitorialità i risultati di un sondaggio di opinione commissionato dall'Istituto valenciano per l'infertilità (Ivi)

Maria Rita Montebelli
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A cinque anni dalla dichiarazione di incostituzionalità della legge 40/2004 che imponeva il divieto di fecondazione eterologa, sono ancora molti gli ostacoli da superare per una coppia che non riesce ad avere bambini. Si tratta di ostacoli di natura legislativa – l'Italia è l'unico paese europeo dove l'assenza di rimborso spese per le donatrici determina la necessità di reperire ovociti all'estero – ma anche di barriere culturali che fanno fatica a cedere. Troppo poche le informazioni in possesso delle donne e le opzioni che offrono i ginecologi di fronte a una diagnosi di infertilità, molte invece le paure che si hanno all'idea di diventare genitori. Di questo si è parlato durante la tavola rotonda dell'Istituto valenciano per l'infertilità (Ivi) ‘Essere mamma oggi', durante la quale è stata presentato  un sondaggio d'opinione commissionato da Ivi e condotta da Ixè su un campione di 600 persone tra i 25 e i 44 anni sui temi dell'infertilità, della fecondazione assistita e della genitorialità. A presentare i dati, Margherita Sartorio, amministratore delegato Ixè. Dall'indagine emerge la necessità di informare meglio la popolazione sui temi relativi alla salute riproduttiva: troppo l'ottimismo sull'età da cui inizia il fisiologico calo di fertilità della donna, situata dal 57 per cento del campione dopo i 40 anni quando in realtà la fertilità inizia a ridursi dopo i 30 anni, con un calo importante già dopo i 35. Inoltre scarsa conoscenza di importanti fattori ostativi alla gravidanza, quali malattie sessualmente trasmissibili e inquinamento. Più confortanti invece  dati che riguardano la percezione della fecondazione assistita: potendo scegliere tra diverse opzioni,  in caso di difficoltà a concepire un figlio, il 49 per cento degli intervistati sceglierebbe l'adozione mentre il 48 per cento la fecondazione assistita. Tra coloro che ipotizzerebbero il ricorso alla fecondazione assistita, il 37 per cento accetterebbe anche la donazione eterologa, soprattutto le donne, più degli uomini, e i 25-29enni. Anche il social freezing è stato oggetto del sondaggio: si tratta della possibilità per le donne di fa congelare in azoto liquido i propri ovociti, per poter accedere successivamente alle procedure di procreazione medicalmente assistita qualora non si riesca a concepire in modo spontaneo. È indicata  - preferibilmente prima dei 35 anni, ma con previ opportuni esami anche fino ai 38/40 anni - per le donne che per motivi personali o lavorativi vogliano ricercare una gravidanza più avanti nel tempo. Inoltre la preservazione della fertilità viene proposta a quelle donne che devono sottoporsi a chemioterapia per un tumore o radioterapia della pelvi, o a cure e interventi demolitivi sugli annessi dell'utero – ovaie e tube di Falloppio - che incideranno irreversibilmente sulla capacità riproduttiva. Infine è indicata anche in caso di familiarità per menopausa precoce. Purtroppo solo il 17 per cento degli intervistati sa che vi si può accedere anche nel nostro Paese, il 37 per cento non sa se si pratichi in Italia e il 20 per cento crede che qui non sia consentita. Il 23 per cento degli intervistati vede positivamente il ricorso alla crioconservazione degli ovociti per motivi professionali, soprattutto i più giovani, ma la motivazione prevalentemente indicata è legata a terapie o a malattie che potrebbero portare alla sterilità. Inoltre, nel caso in cui una donna abbia crio-conservato i suoi ovociti e a distanza di tempo li voglia utilizzare per diventare madre, il 41 per cento ritiene che debba essere libera di farlo in qualunque momento e a prescindere da qualsiasi valutazione familiare o sociale, mentre il 20 per cento circa pone alcune condizioni quali salute, età e stabilità e orientamento sessuale di coppia. Da notare le differenze tra risposte del campione femminile – per cui le percentuali sono rispettivamente del 51 e del 12 per cento – e quelle del campione maschile – 31 e 29 per cento – a dimostrazione delle tare culturali che purtroppo gravano sul tema. Ancora oggi infatti, sembra quasi essere una colpa della donna quella di non essere ‘feconda'. Tuttavia complessivamente la crioconservazione è considerata dai più una scelta non egoista, indolore e sicura sia per il nascituro che per la madre anche se costosa e innaturale. “Oggi, attraverso il social freezing una donna può avere una opportunità in più se decide di procrastinare la maternità per motivi professionali o personali o magari semplicemente perché non ha ancora un compagno con cui condividere progetti di vita – commenta Daniela Galliano, direttrice del Centro Ivi di Roma – I dati dell'indagine, come del resto la pratica clinica, mostrano come si tratti di un fenomeno ancora poco conosciuto in Italia ma l'atteggiamento di apertura che è emerso rappresenta un segnale incoraggiante”. Non solo fecondazione assistita, attraverso l'indagine, gli intervistati hanno risposto anche sulle paure rispetto alla genitorialità: al primo posto si colloca la questione economica, cui si sommano risposte relative al lavoro, sul come trovarlo e mantenerlo. L'altro aspetto incidente è di natura personale, ovvero insicurezze relative alle proprie capacità di crescere un figlio. I limiti alla carriera sono riportati solo dal 6 per cento dei 25-44enni, in particolare da chi ha già figli e ne desidera altri. Le paure e le insicurezze della maternità possono diventare un incubo concreto per alcune donne però, e lo sa bene l'associazione Salvamamme - Salvabebè che ha partecipato alla tavola rotonda per portare la testimonianza di questa difficile realtà. Salvamamme infatti opera da oltre vent'anni intervenendo nei momenti dell'abbandono e della solitudine delle persone in condizioni di grave disagio economico e di emarginazione sociale, fornendo aiuti concreti e supporto in ambito sanitario, psicologico, legale, logistico, ludico, pedagogico e formativo. “Sono migliaia le mamme e le famiglie che ricevono aiuto dalla nostra associazione - ha dichiarato Katia Pacelli, direttrice di Salvamamme - Il primo passo per avviare un rapporto e accogliere chi è in difficoltà è rappresentato dalla donazione di beni di prima necessità, che vengono offerti non solo nel pieno rispetto della dignità di quanti, forse per la prima volta nella vita, si sono trovati a chiedere, ma ancor più come una spinta per chi lo riceve a risollevarsi, per accendere una speranza e incoraggiare la volontà di farcela”. In occasione della tavola rotonda, Ivi ha voluto sostenere l'associazione Salvamamme con una donazione per supportare le donne in difficoltà non solo nel momento della ricerca della maternità. (MATILDE SCUDERI)

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