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Mangiare un hamburger? Come fare sesso

Lo spettro di pulsioni che legano cibo e amore è corposo. Lo dicevano sia Freud che il compianto Anthony Bourdain
di Andrea Tempestinivenerdì 24 ottobre 2025
Hamburger

Hamburger

2' di lettura

Bibliograficamente parlando, il parallelismo tra cibo e sesso viene attribuito all’immancabile Freud. «In chiave psicanalitica», si rimarca per eludere radici più profonde, quali Platone (l’eros che innesca dinamiche accostabili a fame e sete) e Aristotele (il desiderio come epithymia, ossia appetito). Non ci stracceremo le vesti, d’altronde da un secolo abbondante tutto è Freud e non è poi così peregrino. Ma tra le molte intuizioni di Sigismondo, quella sul sesso è la più scontata. Anzi, è un po’ l’essenza della bestia umana, dunque circostanza così scontata da non rendergli l’onore che merita. Più interessante, in chiave modernista, il compianto Anthony Bourdain: al netto del banale ma verissimo «buon cibo chiama buon sesso» (un’ottima cena e un buon vino statisticamente risultano prequel efficace perla liberazione della carnalità), si spese in seducenti riflessioni sui punti di contatto tra esistenze caotiche, sesso-dipendenti e cucine di alto livello (ne riparleremo, qui lo spazio non è sufficiente).

Tant’è, lo spettro di pulsioni che legano cibo e sesso è corposo: acquolina-bramosia, bestialità-carnalità, dimensione privata dell’esperienza (in termini sensoriali); spiazzamento post-climax, addormentamento, ambizione a reiterare. Se queste caratteristiche si possono ritrovare un po’ in tutte le pietanze gradite (pensateci: anche l’indecifrabilità del mi piace oppure no – e perché mai?- è copia carbone della carnalità), l’apice del parallelismo è l’hamburger. In primis: a chi non piace? Al netto di scelte culturali restrittive- vegetarianismo - a nessuno. Inoltre l’hamburger è: pane, morbidezza preliminare; carne macinata, vita vissuta, crosticina e succosità; l’imponderabilità delle salse; l’anima sexy del formaggio fuso; la timidezza dell’insalata; il brivido della cipolla. Agli elementi del nucleo si aggiungono infinite varianti, quali infinite sono le fantasie (lecite, s’intenda: cetriolo, pomodoro, bacon, scamorza, avocado, uovo, peperoni...).

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Il consumo è prerogativa delle mani, essere umano in purezza. Ci si sbrodola, ci si unge, è un rituale privato: non si guarda il commensale mentre azzanna l’hamburger (poi c’è il voyeurismo, ma attiene alle varianti). Dopo l’ultimo morso ci si sente un poco soli e se possibile ci si addormenta. Un’identità pressoché totale col sesso. Infine, una considerazione: la cucina statunitense gode di pessima fama (miope). La vulgata conciona: quei bifolchi al massimo sanno fare un hamburger. Che aberrazione, la vulgata: l’hamburger inteso come carne punto e stop lo inventarono i tedeschi, gli americani la servirono nel pane, il resto è storia. Tanto basta a collocare la cucina Usa ai massimi livelli.