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Pressione arteriosa: di quanto è bene abbassarla superati gli 80 anni?

Portare la massima sotto i 120 mmHg o ‘accontentarsi’ di arrivare sotto i 140 mmHg? Dipende dall’obiettivo da raggiungere e dalle caratteristiche del paziente. Non ci sono regole assolute; la decisione spetta al medico
di Maria Rita Montebelli domenica 12 gennaio 2020

2' di lettura

Arrivati alla soglia degli 80 anni, almeno 7 persone su 10 avranno la pressione alta e dunque dovranno assumere farmaci per riportarne i valori alla normalità e scongiurare così le complicanze collegate all’ipertensione (ictus, infarti, insufficienza renale, demenza). Ma di quanto va abbassata la pressione dopo gli 80 anni e a quali obiettivi pressori bisogna puntare con la terapia? Secondo le linee guida americane del 2017, l’obiettivo di pressione sistolica (la ‘massima’) da raggiungere con i farmaci antipertensivi per le persone dai 65 anni in su è 130 mmHg; ma gli ottantenni, oltre all’ipertensione, hanno spesso una serie di altre condizioni associate che li rendono ‘fragili’, prendono spesso tante medicine e possono avere problemi cognitivi. Così, gli autori di una ricerca pubblicata sul 'Journal of the American Geriatrics Society', si sono chiesti se la regola dei 130 mmHg di ‘massima’ fosse valida anche per gli ultra-80enni. Per rispondere a questa domanda, i ricercatori americani sono andati a studiare, all’interno dello studio SPRINT (Systolic Blood Pressure Intervention Trial), un gruppo di 1.167 ultra-80enni (età media 84 anni, con un 3 per cento al di sopra dei 90 anni). All’inizio dello studio la pressione sistolica media di questi soggetti era 142 mmHg, la maggior parte di loro aveva almeno tre patologie associate, più di metà prendeva almeno 5 medicine al giorno e il 27 per cento aveva una storia di cardiopatia. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi, uno è stato sottoposto ad un trattamento anti-ipertensivo ‘intensivo’, con l’obiettivo di far scendere la massima sotto i 120 mmHg; l’altro gruppo riceveva un trattamento antipertensivo più ‘soft’, con l’obiettivo di portare la sistolica sotto i 140 mmHg. Il gruppo sottoposto ad un trattamento antipertensivo ‘energico’ ha presentato nel corso dello studio un minor numero di eventi cardio-vascolari, un minor rischio di demenza (-28 per cento rispetto all’altro gruppo) e di mortalità per tutte le cause. Tuttavia, le persone assegnate a questo gruppo hanno presentato un maggior declino della funzione renale e un maggior numero di ricoveri per insufficienza renale acuta. La riduzione della pressione sistolica sotto i 120 mmHg non ha infine comportato un maggior rischio di cadute, elemento questo importante, in quanto le cadute aumentano il rischio di mortalità tra gli anziani. Gli autori dello studio concludono dunque che gli ultra-80enni sottoposti a terapia antipertensiva ‘intensiva’, con l’obiettivo di portare la sistolica sotto i 120 mmHg, presenteranno un minor rischio di eventi cardiaci, di ictus, di mortalità e di demenza, al prezzo però di un peggioramento della funzionalità renale. La scelta di quanto abbassare la pressione in età avanzata dipende dunque dalle caratteristiche del singolo paziente, dagli obiettivi che si vogliono raggiungere e andrà valutata con attenzione dal medico. (MARIA RITA MONTEBELLI)

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