Epatite C. Regione Lazio, uniti contro la diffusione silenziosa

Ogni anno dei circa 9 mila casi di tumori al fegato, il 70% deriva dal virus non diagnosticato le cui categorie a rischio sono inevitabilmente chi fa uso di droghe
di Maria Rita Montebellisabato 21 giugno 2014
Epatite C. Regione Lazio, uniti contro la diffusione silenziosa
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Sono i numeri preoccupanti dei pazienti che hanno portato alla nascita del progetto SEcTO (SerD epatologia collaborazione territorio ospedale) che nei prossimi mesi avvierà una collaborazione i Servizi per le dipendenze (SerD) di Roma e Lazio, con l’obiettivo di realizzare un nuovo modello di sinergia tra ospedale e territorio per combattere l’epidemia silenziosa dell’epatite C. Solo nel Lazio le stime parlano di oltre mille morti ogni anno per malattie epatiche croniche e tumori del fegato, che in oltre la metà dei casi sono correlati all’infezione cronica causata dal virus HCV. L’Italia è ai primi posti in Europa per numero di infezioni e di morti causati dalla malattia e spesso i pazienti giovani vengono volgarmente definiti ‘bombe batteriologiche’ perché non sanno di essere portatori del virus e di conseguenza possono potenzialmente far espandere la malattia a macchia d’olio. Questo deriva da una scarsa diagnosi precoce, che renderebbe più facile l’aderenza alla terapia quando l’epatite è cronica, rispetto alla sua evoluzione in cirrosi epatica o tumore al fegato che rappresentano sicuramente conseguenze devastanti per l’organismo con un più alto costo sociale per la Sanità Pubblica. In Italia siamo al primo posto in Europa per consumo di cocaina e la semplice trasmissione del cosiddetto ‘pippotto’ che passa di naso in naso, può essere strumento di contagio qualora un malato di HCV presenti qualche micro ferita nelle narici. “Secondo le stime e con tutte le dovute precauzioni, in Italia circa il 65% delle persone che hanno abusato di sostanze stupefacenti già in cura presso i SerD, ha contratto l’infezione HCV, mentre tale prevalenza scende, si fa per dire, intorno al 25% tra i nuovi pazienti - spiega Claudio Leonardi, direttore UOC prevenzione e cura tossicodipendenze ed alcolismo, Asl RomaC e coordinatore del progetto SEcTO - Questo dimostra che, ancora oggi, molti di questi pazienti a rischio non ricevono una diagnosi adeguata di epatite C e, soprattutto, non sono sottoposti ai trattamenti specialistici” Il progetto SEcTO. È nato anche grazie al supporto di Roche ed è incentrato sulla diffusione dell’importanza della diagnosi precoce, perché il trattamento tempestivo e la collaborazione ‘ospedale-territorio’ sono armi efficaci per fermare l’evoluzione del virus HCV e bloccare la catena del contagio. “Sono circa 14 mila i pazienti in cura presso i SerD di Roma e Lazio per abuso di sostanze stupefacenti. I dati che abbiamo raccolto in un’indagine preliminare su 47 SerD di Roma e Lazio – continua Leonardi – mostrano che solo nel 65% dei centri viene eseguito non obbligatoriamente lo screening virale per l’individuazione del virus, che solo nel 29% dei centri opera direttamente un infettivo logo-epatologo e che solo il 65% dei SerD intervistati ha attivo un canale di collaborazione con uno specialista per la gestione diretta e condivisa della terapia. È emerso, inoltre, che solo nel 24% dei SerD coinvolti nell’indagine, tutti i pazienti in carico hanno ricevuto una diagnosi di epatite C, e che nel 65% dei SerD, meno del 25% dei pazienti è attualmente in trattamento per l’epatite C. Una realtà preoccupante, che impone un cambiamento, soprattutto se si considerano gli ottimi risultati che si possono ottenere con un’azione congiunta dei SerD e dei reparti di infettivologia e di epatologia per individuare le infezioni, curarle e bloccare la trasmissione del virus. L’infezione HCV può essere bloccata e non possiamo permettere che il ritardo nella diagnosi e nel trattamento precluda a queste persone la possibilità di fermare il virus ed evitare le sue serie conseguenze sulla salute del fegato”. Di sicuro la collaborazione tra specialisti e il lavoro di squadra renderà il progetto ancora più funzionale partendo da un’opera di sensibilizzazione sull’importanza di screening per scoprire le infezioni da virus HCV nei SerD coinvolti e creare una rete di cooperazione tra gli ospedali e i reparti di epatologia e infettivologia per perfezionare i percorsi terapeutici mirati alla gestione e alla guarigione dei pazienti. “Oggi sappiamo con certezza che fermare l’epatite C è possibile e riteniamo che tutte le persone a rischio abbiano il diritto di essere sottoposte a un semplice test per rilevare l’infezione HCV e ricevere un counselling appropriato ed eventualmente un trattamento secondo parere medico, basato sulle linee guida correnti. – commenta Massimiliano Conforti, vice presidente associazione EpaC onlus, intervenuto oggi alla presentazione del progetto SEcTO – I risultati terapeutici ottenibili permettono di bloccare la trasmissione del virus e allontanare il rischio di cirrosi ed epatocarcinoma, ma non possono prescindere dall’informazione e dal supporto costante ai pazienti e alle loro famiglie, per accompagnarli lungo tutto il percorso di trattamento, renderli parte attiva e aiutarli ad affrontare l’epatite C anche dopo la conclusione delle terapie, affinché il virus sia definitivamente sconfitto”. (GIOIA TAGLIENTE)