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Grace Kelly, il film con la Kidman che fa infuriare i reali di Monaco

Nicoletta Orlandi Posti
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Il 15 maggio s'apre il Festival di Cannes. Con un film che stando alla tradizione festivaliera si presenta con un lustro divistico, mondano: un inno, più che alla grandeur francese, a quella hollywoodiana. E quale opera può rappresentare meglio divismo, grandeur e così via di un biopic sulla vita di un'icona di Hollywood, anzi del cinema tout court? A tre settimane dall'avvenimento non sappiamo ancora se Grace di Monaco sarà un buon lavoro o solo un lussuoso polpettone. Ma come grande apertura sulla Croisette ci sta benissimo. Suonano già gli squilli di tromba. La sera del 15 sul tappeto rosso sfilerà tutta la Francia cinematografara che conta, raccolta intorno alla regina dell'evento, Nicole Kidman, interprete appunto di Grace Kelly, la musa di Hitchcock che nella primavera del 1957 disse addio al cinema per diventare principessa dello staterello sulla Costa Azzurra. Ci saranno tutti tranne i principi di Monaco che hanno visionato il film (è pronto da un pezzo, ma il general release è stato rinviato in previsione della super serata di Cannes) e non l'hanno gradito. Ma proprio per niente. Se la produzione non verrà trascinata in tribunale è giusto perché da sempre i Grimaldi non vanno per avvocati. Per decenni la stampa gossip ha rivoltato come calzini le vite sentimentali delle principesse, senza importanti reazioni da parte del Principato. Certo che se volessero, motivi per cause di diffamazione ci sarebbero. Papà Ranieri ne esce malissimo, mamma Grace ne esce sì benissimo, ma fuori da qualsiasi atmosfera di fiaba. E il principato, è rappresentato come una terra di nessuno contesa tra un pescecane dei mari (leggi Aristotele Onassis) e un prevaricante despota (leggi presidente De Gaulle). Perché il regista Olivier Dahn (già autore di una cinebiografia su Edith Piaf) ha voluto far ruotare tutto il film su un interrogativo. Fece bene Grace a mollare Hollywood dove era la numero uno per accontentare un suo sogno di Cenerentola (lei la figlia di un capomastro, sovrana di uno Stato europeo)? No, non fece bene, non ne valeva la pena. All'inizio degli anni 60 se n'era già resa conto. E se n'era reso conto anche Alfred Hitchcock, il regista che l'aveva lanciata (Il delitto perfetto, Caccia al ladro) che era andato a tampinarla alla Rocca. La voleva per Marnie (oh che bel film sarebbe stato se Grace avesse detto di sì) ed era quasi sicuro di averla. Ma lei, a un passo dal gran ritorno, finì per rifiutare. Non lo fece, come dissero i gossippari dell'epoca, per amore di Ranieri. Anzi. Fu la sua forte tempra irlandese a deciderla a non mollare il principato nel momento più buio della sua storia recente. Charles De Gaulle voleva papparsi Monaco, non tollerava quel piccolo lembo di terra non francese al di là delle Alpi. E Aristotele Onassis voleva papparselo a suo uso e consumo. E Ranieri, che figura ci fa Ranieri nel film di Dahn? Quella di un ometto sballottato da due colossi. Che finirebbe schiacciato se la moglie americana non lo sostenesse nei mesi più duri. Ometto secondo la storia (almeno com'è rievocata nel film) lo è anche fisicamente nella finzione cinematografica. Dahn ha voluto per Ranieri un attore bravissimo (Tim Roth) ma nient'affatto somigliante e per di più abbonato ai personaggi sbilenchi e antipatici (simpatico solo una volta in vita sua come in La leggenda del pianista sull'oceano di Tornatore). Nessun spettatore (e nessuna lettrice di gossip) riconoscerà in quell'omuncolo l'atticciato, ma abbastanza prestante, principe della favola di Grace. Figuriamoci i figli. Che se andassero sul tappeto rosso, sarebbe solo per commettere un registicidio. di GIORGIO CARBONE

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