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Finita la retorica di Sanremo, non sprechiamo la lezione di Ezio Bosso

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Giovanni Ruggiero
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L'esibizione sanremese di Ezio Bosso ha riscosso grande successo: una delle stelle più brillanti del festival è stata senz'altro quella del musicista affetto da una malattia neurodegenerativa. Bosso esiste da prima di Sanremo (bassista negli Statuto, autore della colonna sonora di Io non ho paura di Gabriele Salvatores, per quella de Il ragazzo invisibile è stato nominato al David di Donatello 2015). Ma nel babelico mondo attuale - il mondo querulo, bulimico e narcisista della ruminazione veloce e solo di superficie delle cose - a colpire gli spettatori e i commentatori che lo conoscevano in quel momento è stata soprattutto la sua malattia. Lo hanno scritto in molti: ha «commosso il pubblico». Commozione comprensibile, che noi per primi abbiamo provato. Insieme con un'enorme ammirazione per la resilienza di Ezio, o la capacità di suonare pura poesia. Proprio per questo sarebbe il caso di andare oltre i quindici minuti di «commozione» da ticchettare su Twitter. Al di sotto della patina dello spettacolo, infatti, c'è una realtà dolorosa: quella delle malattie gravissime. Devastano le persone e le loro famiglie, non risparmiano nemmeno i bimbi, come fa per esempio la Sla. Sono un flagello che spesso i malati e i loro cari sono costretti a vivere in solitudine e in difficoltà estrema. Ignorando questo, il rischio è una spettacolarizzazione che brucia ogni altra possibilità di trattazione reale del fatto «malattia». Ricordate l'Ice Bucket Challenge, iniziativa benefica che riguardava proprio la Sla? I vip fecero la corsa a tirarsi secchiate d'acqua in testa: servirono per lo più a lavarsi la coscienza o a fornire l'ennesima occasione di autopromozione. Si tirò un secchio d'acqua in testa anche Matteo Renzi, ma questo non impedì al suo governo di provare a tagliare i fondi per le disabilità. Lo fermarono solo le proteste dei malati di Sla in carrozzella, tracheostomizzati, muti (il corpo affetto da Sla progressivamente non respira, non mangia, non parla, non si muove più). Sarebbe bello, allora, che chi si è tanto «commosso» guardando Sanremo facesse magari un piccolo gesto concreto: informandosi su queste malattie, donando alla ricerca o impegnandosi nel volontariato, per esempio. Mentre siamo invece all'assurdità di chi (il Fatto) ha addirittura scritto che Bosso appassiona oltre ogni «pietismo» e che il suo male è solo «un dettaglio». È ripugnante che, per fare i progressisti che non discriminano, si arrivi a ritenere la malattia neurodegenerativa di Ezio, simile alla Sla, «un dettaglio». Quando poi, per altre categorie che vantano ottima salute - come i gay - si pretende di trasformare il loro anelito al diritto matrimoniale e genitoriale nel loro tutto. Sempre la stessa penna del Fatto on line sbrodolava gran lodi per lo sventolamento dei nastrini arcobaleno a sostegno dei «gay discriminati». Beh, sarebbe utile provare compassione - in senso nobile - anche per le sofferenze dei malati, per esempio di Sla, cui è negato il diritto primario della vita, cioè vivere. Altro che bando al «pietismo» verso malattie che sarebbero «un dettaglio»... Gemma Gaetani

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