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Renato Pozzetto: "Ho amato solo mia moglie. Per lei ho fatto il pendolare tutta la vita"

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Davide Locano
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Taaaccc... Il ragazzo di campagna oggi è il nonno del lago. Il 14 luglio Renato Pozzetto festeggia 78 anni a Laveno, sulle sponde del lago Maggiore. «Qui - ci racconta - c'è la mia cuccia, il posto del cuore. È il luogo dove sto meglio e qui iniziano le vacanze estive della mia grande tribù: due figli, mia cognata e 12 nipoti. Io e loro insieme per un mese». Un bell'impegno far giocare tutti quei bimbi... «Loro sono indipendenti e non si annoiano mai. Io continuo a giocare con il mio lavoro. È la mia vita. Finché il pubblico gode e mi fa godere, io non mollo. Anzi...». Siamo curiosi. «Torno a teatro con Compatibilmente, un compendio dei miei 50 anni di carriera. Comicità e canzoni dal vivo, con l'orchestra dei The Good Fellas, rock'n roll e swing insieme. E sto lavorando a un film per l'anno prossimo. Una storia surreale, alla mia maniera». Ora siamo ancora più curiosi. «S'intitolerà Una mucca in paradiso. Protagonista è un contadino che ha perso tutto in un terremoto. Non si è salvato nulla, solo una mucca miracolosamente sopravvissuta tra le macerie. E con quella mucca s'incammina disperato fino a Milano dove ha la fortuna d'incontrare un magnate che, intenerito dalla storia, lo ospita in una foresteria nel Bosco Verticale. All'ultimo piano il contadino scopre una grande terrazza attrezzata a prato. Lì porta la sua mucca e da lì inizia il film. Quest'estate ho detto no agli inviti per lavorare al progetto». Leggi anche: Renato Pozzetto, lo struggente necrologio per Paolo Villaggio La sua comicità attraversa due secoli: una bella rivincita per un bimbo nato sotto le bombe... «Sì, sono un figlio della guerra. Abitavo nelle case popolari nell'estrema periferia di Milano, ce la bombardarono quando avevo solo due anni. Ci siamo salvati rifugiandoci in cantina. Mio papà era un impiegato di banca, mia mamma una casalinga e avevo tre fratelli. Abbiamo sofferto la fame, imparando a fare i conti con le rinunce. Sfollammo a Gemonio, nel Varesotto, dove incontrai Cochi Ponzoni. Quello che il destino ti toglie, in qualche modo te lo restituisce». Che bambino è stato? «Facevo gruppo con Cochi e gli altri bimbi di Gemonio. Giravo per il paese con una bici scassata, giocavo a palla, frequentavo l'oratorio. Poi la guerra finì e a 6 anni tornai a Milano con una famiglia messa ko. Abbiamo sempre vissuto tra piazzale Corvetto e piazza Abbiategrasso, conoscendo la povertà. Da adolescente non avevo i soldi neppure per il biglietto del tram, il numero 3, quello che ci portava in centro a guardare le vetrine. Ci andavo a piedi. Non ho mai provato rabbia nei confronti della vita, anche se non avevamo niente. Niente, a parte le parole. E con quelle giocavamo». Giocavate con le parole... «È stato quello il divertimento mio e di Cochi. Cercare nel linguaggio e nella fantasia qualcosa che ci aiutasse ad essere felici. Naturalmente non avrebbe potuto succedere se non avessimo avuto innato il senso dell'umorismo e la fortuna di frequentare ambienti come l'Oca d'Oro, il Giamaica e il Gattullo, luoghi di ritrovo di artisti». Lei si era diplomato geometra. «Mi sono diplomato con fatica al Carlo Cattaneo in piazza Vetra. Milano era tutta da ricostruire, era un cantiere a cielo aperto. Ero affascinato dalle gru e dalle costruzioni che riprendevano forma. Ci giravo intorno, ci curiosavo dentro. Per un anno ho pure esercitato da geometra, ma non era la mia strada. Grazie a una legge che dispensava dal servizio militare chi aveva più fratelli che lo avevano fatto, mi sono ritrovato libero e ho iniziato a fare il saltimbanco con Cochi». Eravate un bel gruppo. «Jannacci, Gaber e Fo sono stati i nostri fari. Non facevano i maestri, ma il nostro atteggiamento era quello d'imparare il più possibile da artisti tanto eclettici. Una comicità intelligente, senza volgarità. Come è stato poi per noi che abbiamo puntato sulla spontaneità. Nulla era studiato a tavolino. Io e Cochi abbiamo esordito all'Oca d'Oro, poi al Cab64 icon il Gruppo Motore con Jannacci, Andreasi, Lauzi e Toffolo e da lì al Derby». Milano era molto diversa... «Era una città che voleva tornare a vivere, pensando in grande ma godendo delle piccole cose. Non c'erano barriere, si cresceva insieme. Ricordo che io e Cochi abbiamo persino aiutato un grande artista come Piero Manzoni a realizzare la Linea infinita, lunga 11 chilometri. Gli serviva qualcuno che tenesse il pennarello mentre lui srotolava la carta». La gallina, La canzone intelligente, E la vita la vita: memorabili pure per le coreografie «Ci divertivano ed erano il marchio di fabbrica sul nostro umorismo. La nostra soddisfazione è stato vedere come quei versi e quei gesti fossero compresi ed imitati dal pubblico, soprattutto giovane». Eppure vi siete separati. «Sì, ma per assecondare una nuova opportunità, quella del cinema, che ha coinvolto prima me e poco più tardi Cochi. Nessuna incomprensione in 10 anni di lavoro, poi 30 di cinema separati, poi di nuovo uniti in teatro nel 2000. E non è detto che non ci possa essere un'altra tappa.... Lui è il mio amico per sempre». Oltre 60 film con le più belle attrici e nessun gossip su di lei... «Io ho fatto il cinema, non il gossip. Ho avuto la fortuna di essere stato sempre innamorato di mia moglie Brunella che ho perso nel 2009, pochi giorni prima di Natale. Ci siamo conosciuti da ragazzini sul lago Maggiore ed è stata una compagna fantastica, estranea al mondo dello spettacolo. Il cinema mi tratteneva a Roma, per questo avevo preso una bella casa vicino al Colosseo. Ma lei non ha mai voluto trasferirsi. Ho fatto il pendolare tra Roma e Milano per amore della mia famiglia». Il concetto di famiglia ricorre spesso nei suoi pensieri. «È il pilastro della mia esistenza, mi piace stare con chi amo. A Milano vivo vicino ai miei figli Giacomo e Francesca, preziosi nel darmi una mano in questa età. Francesca qui cura anche l'albergo della Locanda, mentre il ristorante è affidato allo chef Pavanello e alla sua socia Ileana. Sono un appassionato di cucina: sul set avevo un camper attrezzato....». Già, la “Locanda Pozzetto” è stata un'intuizione vincente. «Era una cascina isolata andata all'asta. Io e mio fratello Achille c'innamorammo subito di quel luogo fantastico che dominava il lago. L'acquistammo ma era troppo grande per noi, così pensammo a una locanda con qualche camera. Facemmo tutto quando la buona cucina non era ancora sulla cresta di tutte le onde» . Politicamente l'hanno sempre etichettato come vicino alla Lega. «Vicino... di casa di Umberto Bossi. Lui abita a Gemonio, il paese dove poi hanno vissuto i miei genitori, scomparsi a 97 anni. Quando andavo a trovarli incontravo spesso Bossi dal tabaccaio a comprare i sigari. Anni fa su un aereo mi battezzò come un suo compaesano. La Lega mi fa simpatia come se fosse una storia di casa e ora è ai grandi fasti». Quindi la vita le bela le bela.... «Ma bisogna avere l'ombrello, soprattutto per lavorare in televisione. Se non ce l'hai ti tocca aspettare e sperare. Chi ha l'ombrello invece lo apre e tutto diventa più facile. E non si bagna la testa. Ma sono un figlio della guerra, cresciuto tra mille difficoltà, non mi spaventa certo la pioggia. E soprattutto sono un uomo felice». L'ultima volta che ha detto eehhhh la madonna? «Ehhhh la madonna.... ho tanti amici, una famiglia vicino, tanti progetti. Lo dico riconoscente ogni giorno, sperando che la salute continui ad assistermi». di Paola Pellai

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