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Paolo Sorrentino, "cosa gli manca per arrivare alla perfezione": quello che non sapete sul regista, "il suo talento..."

Pino Farinotti
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Non avevo ancora visto È stata la mano di Dio. Non ero a Venezia in quel giorno e non sono abbonato a Netflix. Ho dovuto aspettare che uscisse nelle sale. Trattasi di ottimo film, premiato con il Leone d'oro. Sono il primo a riconoscere la superdotazione di Sorrentino e quel suo talento grande e incontrollabile. Ma dovrebbe gestirlo. È una vocazione che lo porta a realizzare grandi opere, ma mai perfette. È un richiamo barocco che esce dagli spazi. Che peccato. Indicherei, a lui grande felliniano, il personaggio di Daumier di Otto e mezzo. È lo scrittore consulente di Guido-Federico che mette a nudo i suoi difetti di struttura e di contenuti. Tanto da finire impiccato. Fellini sapeva scrivere ma si sentiva più sicuro della vicinanza di un Flaiano e di un Guerra. 

Anche Sorrentino sa scrivere. Ma dovrebbe coltivare la disciplina del "togliere". Di fermarsi a un certo punto. In letteratura c'è l'editor, che "perfeziona" il lavoro dello scrittore. Rilevo un editor esemplare, Maxwell Perkins, che aveva scoperto gente come Hemingway e Fitzgerald. Nel film Genius si racconta del suo rapporto con Thomas Wolfe, scrittore iperdotato, che porta all'editore millecinquecento pagine pregne di talento esagerato. Perkins le fa diventare quattrocento. Ma ne è nato un capolavoro: Angelo guarda il passato. Un "Perkins" sarebbe molto utile a Sorrentino. 

 

IL MEGLIO
Il film. Fabietto, ragazzo napoletano, alter ego dell'autore, vive con la sua famiglia, genitori e fratelli e fra parenti che sono una corte dei miracoli. Sorrentino, in questo contesto dà il meglio della sua vocazione. Scorre il suo amarcord in un mosaico di istantanee di vera arte popolare, di invenzioni imprevedibili di virtuosismi grotteschi di cinema alto. Il miglior Sorrentino. C'è la vita, ci sono pochi dolori. È la formazione del ragazzo. Assimila piccole cose che poi fa sue secondo qualcosa di particolare che già possiede. Poi arriva il grande dolore: la morte dei genitori. E tutto cambia. Il futuro ci sarebbe, ma è nebuloso. E c'è chi si occupa di lui, come la bellissima zia sempre presente nelle sue fantasie, come l'anziana baronessa che lo seduce. Irrompe poi Armando, contrabbandiere, camorrista di successo. Il ragazzo lo ammira. Le premesse ormai ci sarebbero tutte. Fabio, non più Fabietto, potrebbe partire per Roma per realizzare il suo sogno, come ha fatto il Federico diciottenne della "Roma" di Fellini. 

PAGINE SECONDARIE
A questo punto la parabola del racconto andrebbe a sfumare verso la chiusura. Invece l'autore ne riapre un'altra. Altri segmenti si aprono e si chiudono, forse non così indispensabili. Però la sensazione è che il film continua a finire e non finisce. Certo, la cifra cinematografica è sempre alta è sempre "Sorrentino" ma i contenuti si dilatano. Appare Capuano, regista, vero, napoletano, affermato che dopo una certa resistenza adotta, per lo meno per i consigli, il curioso Fabio. Cerca di dissuaderlo dal sogno del cinema. La vita va affrontata in casa, a Napoli. Il destino sarà quello. Ma, come il Moraldo-Interlenghi dei Vitelloni Fabio sale su un treno diretto a Roma. Forse nell'ultima parte Sorrentino avrebbe potuto trattenere la sua dotazione. Il film avrebbe avuto un'altra unità, sarebbe stato perfetto. Infine due identificatori ultrapresenti. Fellini: il nume di Sorrentino. È notorio. 

E poi Maradona, eroe, mantra, bene rifugio dei napoletani. Il film gira intorno a lui. La "mano di Dio" è quella che fece il gol, fasullo, il 22 giugno 1986 all'Inghilterra. Ma Diego si riabilitò, nella stessa partita segnando il gol del secolo. Diego: in quell'anno campione del mondo e d'Italia, col Napoli, per la prima volta. Fabietto-Paolo aveva 16 anni. L'età vulnerabile (S. Fitzgerald).

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