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Venezia, Borghi bravo e realista: "È pieno di film brutti"

Giulia Bianconi
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Alessandro Borghi ha scelto di fare l'attore per il cinema. «Lo associo all'idea che avevo da ragazzino, quando c'era la vera condivisione in sala». È un attore che si ritiene fortunato. «Sono innamorato di questo lavoro. Ho preso parte a progetti bellissimi con i quali sono cresciuto e mi sono arricchito». Sa essere riconoscente nei confronti di chi gli dà fiducia. «Il fatto di essere pagato, e anche tanto, per fare questo mestiere deve essere una cosa che non bisogna mai dare per scontata. Ora sono qui, ma l'anno prossimo potrei aprirmi un banco a Porta Portese». Si mette sempre in discussione. «Non è che tutti i film con Borghi siano per forza belli. Sono il primo a criticare quello che faccio. Guardandomi, non mi piaccio mai». Affronta ogni ruolo pensando che non ce ne sarà un altro dopo. «Ogni volta è come se fosse l'ultimo film che faccio».
Borghi ha pensato lo stesso anche interpretando il cupo e introverso killer John in The Hanging Sun, opera prima di Francesco Carrozzini e film di chiusura, fuori concorso, della 79esima Mostra di Venezia. Tratto dall'omonimo libro di Jo Nesbø, scritto da Stefano Bises e ambientato in Norvegia, è una produzione Cattleya, Groenlandia e Sky Studios, che arriverà nelle sale da domani a mercoledì con Vision, e prossimamente su Sky Cinema e Now.
Borghi, dando prova ancora una volta di saper recitare con grande disinvoltura in inglese, in questo noir è un uomo che scappa da suo padre, un boss criminale, che ha tradito. Inseguito dal fratello, approda in un villaggio isolato nel nord del Paese, dove il sole non tramonta mai. Qui incontra Lea (Jessica Brown Findlay), una donna in difficoltà ma dalla grande forza, e il figlio Caleb, con i quali stabilisce un forte legame. Ma per riuscire a formare nuova famiglia, John e Lea dovranno trovare il modo per spezzare i legami con il passato.
 

 

 

LUCI E OMBRE A Borghi sono piaciute le luci e ombre di questo personaggio in cerca di redenzione. «Ci siamo allontanati dal romanzo che aveva una matrice più thriller e action per puntare sui personaggi- racconta dal Lido l'attore romano, prossimo ai 36 anni Questo è un film che ha tanti messaggi e macrofuochi. A colpirmi di più è stato quello legato alla gestione e all'accettazione della paternità.
Chi è tuo padre? Quello che ti mette al mondo o quello che ti cresce? Il mio personaggio chiude con il suo passato e il suo presente per cercare un'altra soluzione nella vita».
Il film è nato grazie a una chiacchierata che Borghi e Carrozzini hanno fatto proprio a Venezia, tre anni fa, all'hotel Excelsior. «Francesco mi disse che voleva fare questo film. Aveva pensato a Jack O' Connell come protagonista. Poi mi ha chiesto di leggere la sceneggiatura e il giorno, di punto in bianco, mi ha offerto la parte di John, e io ho detto di sì. Ora spero che il pubblico possa andare a vedere il lavoro che abbiamo fatto».
 

 

 

IL TARLO Certo oggi portare in sala un film è assai difficile. Ma per Borghi non è tutto perduto. «Questa crisi mi fa soffrire, è un tarlo ogni giorno. Possiamo uscirne con umiltà, impegno, grazie al coraggio di produttori e distributori. Bisogna convincere il pubblico che non c'è solo il cinema mainstream, ma anche altro da andare a vedere. Il problema più grande è che si fanno film brutti, io ne vedo di continuo». Da tempo si vocifera che sarà Borghi a interpretare Rocco Siffredi nella serie di Netflix. «Se ne parla sì, ma non posso dire altro se non che non sono stati firmati ancora i contratti», risponde l'attore, che da poco ha un agente americano: «Mi chiameranno anche dagli Usa? Speriamo. Se lo fa Christopher Nolan non ci penso due volte». 

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