Cerca
Cerca
+

Elio e le storie tese, "tua madre". Insulti da sinistra

Andrea Scaglia
  • a
  • a
  • a

È davvero così: la ferocia dei moralisti è superata solo dalla loro stupidità. E dunque scandalo! Indignazione! Hanno fatto la réclame al Male del mondo! Anzi di più, in questo modo sostengono il genocidio sionista! Ma chi? Ma cosa? Nel mirino dei censori da social ci son finiti stavolta gli Elio e le Storie Tese, il noto gruppo musicale che da decenni fa della dissacrazione la sua ragione sociale, e che peraltro si è sempre mostrato allergico alle barricate da schieramento politico. E che cosa hanno combinato di tanto grave, gli Elii – come vengono affettuosamente chiamati dai fans? Ma come, non lo sai? Hanno fatto lo spot per McDonald’s.

McDonald’s, ti rendi conto? L’emblema stesso della malvagità dell’Occidente tutto, il simbolo che rappresenta il giogo a cui la globalizzazione multinazionale attacca i miseri dell’intero globo terracqueo per sfruttarli senz’alcun scrupolo. Questo il tono.

In effetti, si scorrono i commenti apparsi sotto lo scanzonato spot pubblicato dalla band sui social, ed è roba da non credere. Termini ricorrenti sono «delusione», «vergogna», «venduti», «merde» addirittura. E poi, come detto, l’accusa di collaborazionismo – in questo momento intollerabile per gli indignati a targhe alterne - ripetuta decine, centinaia di volte, perché «McDonald’s supporta l’esercito israeliano, bisogna boicottarlo» (e su questa sciocchezza poi ci torniamo). «Esiste un brand al quale non vi vendete?», chiede provocatoriamente uno. Risposta di Rocco Tanica, membro storico e compositore del gruppo: «Tua madre, badget troppo basso». Sbàm. (E qualcuno ha subito alzato il ditino: «Replica poco elegante». Ma vaccaghér).

E si resta davvero basìti, di fronte agli sproloqui di quest’orda di pseudomoralisti senz’alcuna morale, gente da lettera anonima, censori da social con la cucina di casa piena d’unto. Intendiamoci, esiste la libertà di pubblicizzare e anche quella di criticare, peraltro a chi scrive i panini da fast food - per restare nella metafora - piacciono meno di zero. Ma che cosa c’entra con quest’ondata di tracotante e offensiva ignoranza? Prendiamo l’accusa che pare essere la più grave, quella di prestarsi a reclamizzare un marchio che sosterrebbe Israele nella sua guerra ad Hamas.

Tutto nasce dal fatto che la filiale israeliana del colosso alimentare ha dichiarato di aver donato 100.000 pasti gratuiti ai membri dell’esercito dello Stato ebraico, e anche agli ospedali locali e ai civili israeliani colpiti dagli infami attacchi del 7 ottobre dei terroristi nazi-islamici. A parte che non si capisce che cosa ci sia di disdicevole in questo, gli asini in questione, accecati dall’odio ideologico e acriticamente proni alle idiozie propagate da alcune organizzazioni arabe che hanno invitato a un boicottaggio mondiale del marchio, dimenticano – o più probabilmente non sanno – che McDonald’s è una catena di franchising, con molte delle sue filiali gestite da imprese locali.

In questo senso, McDonald’s Kuwait, McDonald’s Emirati Arabi e McDonald’s Turchia, per fare solo tre esempi, hanno organizzato raccolte fondi in favore della popolazione palestinese, tanto che – informa Al Jazeera «le filiali del Medio Oriente hanno raccolto e donato più di 3 milioni di dollari a Gaza» in pochi giorni. Quindi, tornando alle scomposte critiche rivolte agli Elii, trattasi di scemenze da qualunque parte la si veda. Non avevamo dubbi. Ma poi, questa retorica anti-multinazionale - in effetti trattasi più che altro di riflesso pavloviano - suona tragicomica. Cioè, da dove diffondono i guerriglieri da tastiera le loro scandalizzate ramanzine ai musicisti colpevoli di essersi piegati al mondialismo deteriore?

Ma da Instagram, social network di proprietà di quello Zuckerberg, azionista di maggioranza della società Meta che possiede pure Facebook e WhatsApp, additato come la personificazione del capitalismo più trafficone e parassitario. Ridicoli. La conclusione parte da una considerazione in effetti inflazionata, quella in base alla quale la storia si ripete sempre prima come tragedia e poi come farsa. Siamo dunque passati dallo Sim alla Sim: dalla lotta armata contro il Sim, lo Stato Imperialista delle Multinazionali paventato dalle Brigate Rosse, alla lotta social fatta con la Sim, la tesserina dello smartphone. Ma le cazzate, quelle non c’è dubbio: resistono nel tempo.

Dai blog