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Vasco Rossi, addio ad "Alfredo": la vera storia di Andera Giacobazzi, morto a 66 anni

Luca Beatrice
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I personaggi delle canzoni non muoiono mai, soprattutto quelli delle canzoni belle, non se ne vanno pure se cambiano forma, dai vecchi vinili lato A lato B, le cassette registrate a casa, i cd e ora gli smartphone, con un suono meno vero, più gracchiante ma sempre disponibile, anche qui sul treno a scrivere il coccodrillo più incredibile e più vero mi sia mai capitato. Le persone, invece, purtroppo muoiono e così se ne è andato Alfredo, quello che era colpa sua semi faceva sciupare tutte le occasioni. Lo apprendiamo da un triste post del Komandante che ha affidato alla rete il suo commosso commiato: «ciao ciciui... mi mancherai moltissimo. Sarai sempre vivo dentro il mio cuore. Wiva Andrea Giacobazzi (Colpa d’Alfredo). Andrea è sempre stato dalla mia parte anche quando molti mi voltavano le spalle. Facevano finta di non conoscermi, non credevano in quello che facevo. Lui insieme a Marengo (a Modena) mi sono sempre stati vicini. Questo vorrei ricordarlo perché so che lui ci teneva! Lui è stato tra i primi ad avere la visione di quello che poi è diventato Modena Park».

 

 

CHI ERA Alfredo, quello vero, si chiamava Andrea Giacobazzi ed è morto ieri a soli 66 anni, a causa di complicazioni postoperatorie. Era un elemento storico della combriccola del Blasco, che si trovava allo Snoopy di Modena per cercare una ragazza con cui far serata. Che Alfredo fosse davvero lui lo abbiamo saputo a un certo punto, fu proprio Andrea a raccontare di come si appiccicava al giovane Vasco «con i suoi discorsi seri e inopportuni», sul fatto che c’era traffico per andare a Misano dove si doveva suonare e allora c’era bisogno di partire presto.
E lei che ha fatto allora? «è andata a casa con il negro, la troia». Tanti della mia età, e prima e dopo, hanno amato da impazzire questa canzone, uno dei migliori racconti in tre minuti nella musica italiana in cui c’è tutto, la bella gioventù, la voglia di vivere, la macchina apposta che ti porterei anche in America. Tutte cose che oggi non si possono più scrivere né dire e a cantarle hanno lasciato solo Vasco, perché Vasco non si tocca, ma è una deroga, gli alfieri del politicamente corretto fin qui non arrivano per la paura del ruggito di milioni di persone, lascia stare Blasco, non toccare Alfredo.

 


Colpa d’Alfredo è la sintesi delle inquietudini e dei fallimenti di uno sfigato che l’amore non sa come prenderlo e allora si sfoga con la lingua monologando, forzandola, violentandola, buttandoci dentro di tutto, parolacce e moccoli. È l’incipit folgorante che definisce l’immagine “maledetta” di Vasco nel 1982. Parla più che cantare e ci mette dentro il riff di chitarra. Negro, troia, parole mai usate nelle canzoni. Ha spiegato Salvatore Martorana che del Kom è trai massimi esegeti: «Vasco, al quale importa solo la sostanza, se ne frega della forma; a lui interessa arrivare con il suo personale discorso ben dritto alla pancia di chi ascolta, anche a costo di sembrare rude, inopportuno e bastardo». Altri termini non avrebbero reso così chiaro il concetto. Vasco poi ha detto che negro non sarebbe comunque un aggettivo, ma un vero personaggio che finisce per diventare un archetipo: «il negro è un tipo dritto, che ci sa fare, che ha una marcia in più. Ovvero, un tipo che frega la ragazza approfittando di una distrazione, è un negro per questo motivo, perché è un furbo». Gli amici lo associano a Santino, il benzinaio di Zocca che, leggenda vuole, «tutte le sere ne accompagna a casa una diversa». La serata non va come dovrebbe, anzi finisce proprio male.

 

STORIA DI UNO SFIGATO D’accordo, lui ha esitato, troppe chiacchiere con quell’altro, la bella del locale si annoia e se ne va col negro o il benzinaio che sia. Si sfoga così l’eroe della canzone, cui nel frattempo è stata soffiata la preda, dopo che lei gli aveva chiesto di accompagnarla a casa, anche se abita fuori Modena, Modena Park, e magari chissà, avrebbero anche fatto del sesso sui sedili posteriori. Lei, la stronza che non si preoccupa nemmeno di inventare una scusa e «si era già dimenticata di quello che mi aveva detto prima»; il nostro sfigato allora se la prende con Alfredo, «se non ci fosse stato lui mi avrebbe detto si». 

 

 

 

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