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Ghali grida alla censura, ma non è vero: smentito da Radio Italia

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Francesco Specchia
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C’è qualcosa di ammirevole, di artistico (non per nulla parliamo di un rapper assai portato all’uso bellico delle parole) e di paraculesco nel vittimismo à -la -carte di Ghali Amdouni detto Ghali. Una volta tanto ci sentiamo di dar ragione ad Antonio Scurati, autore ieri di un lungo articolo su Repubblica a supporto di una serie di podcast disponibili sul sito del Giornale: Giacomo Matteotti, Ghali. Ghali che innerva il suo misticismo di slancio politico. Ghali, che, oramai, è sempre più un mix esplosivo fra Arafat, Gandhi e Joan Baez ai tempi del Vietnam. Prendete, per esempio, la sua ultima narrazione dalla trincea immaginaria della Striscia di Gaza.

Dunque. Accade che Ghali- 31 anni, rapper, tunisino/milanese zona Baggio, immersione totalizzante nell’impegno civile - si sfoghi al Real Talk del Middle East Eye, un canale radiofonico da 1.9 milioni di ascoltatori che in genere racconta i rapporti tra Medioriente e Nordafrica. Ghali si sfoga. E, soffiando nel microfono tutto il suo scontento, Ghali dichiara di essere stato «escluso dal concerto Radio Italia Live di Napoli» a causa delle sue «rimostranze pro-Palestina».

 

 

 

MINUTO DI SILENZIO
E sottolinea che la censura sarebbe nata dopo la sua decisione di chiedere un minuto di silenzio «per tutte le vittime in Palestina» al pubblico durante un precedente evento in piazza Duomo a Milano. E afferma, funesto: «Sono stato punito per questo, perché dovevo fare uno show, per il 27 giugno, a Napoli, e mi hanno cancellato. Questo è successo due giorni fa. Sono deluso, scioccato e sorpreso, ma non mi pento». Ma, onestamente, non c’era nulla di cui pentirsi.

Perché Ghali, in realtà, ha espresso le sue idee sulla Palestina liberamente e sotto scrosci di applausi. Anche se, come un fulmine, è arrivato la pronta e secca smentita dell’organizzazione del concerto in questione, alla ricostruzione fatta dal cantante. «L’invito per Ghali era inizialmente previsto per l’evento di Napoli (evento ufficializzato il 28 maggio, ndr), in seguito, su insistenza dello stesso artista e del suo management, direttamente con il nostro Presidente, si era riusciti ad inserirlo nel cast di Radio Italia Live – Il Concerto a Milano, lo scorso 15 maggio. L’invito per Napoli è quindi automaticamente decaduto. Il palco di Radio Italia Live ha sempre garantito e sempre garantirà la massima libertà espressiva agli artisti ospiti». Questo fanno gentilmente notare da Radio Italia, a Napoli. Ghali però insiste: «La reazione dell’industria musicale verso gli artisti che parlano della Palestina fa paura, perché ti cancellano, ma non mi interessa, perché c’è gente che rischia la vita, c’è gente che muore». Epperò è vero l’esatto contrario.

 

 

 

Non ci sono, praticamente, artisti non schierati a favore della Palestina:alcuni di loro, addirittura, stanno assuefacendo gradualmente il loro pubblico all’assioma abominevole “Israele=nuovi nazisti”. Tra l’altro, Ghali, come molti suoi colleghi, non ha speso una sola parola di pietas contro l’eccidio del 7 ottobre operato dai macellai di Hamas verso i coloni ebrei. Ma tant’è: la cosa richiederebbe ulteriore approfondimento.

Ma quel che conta, trattandosi d’artisti, non è la realtà in sé; conta, semmai, la sua narrazione. Curioso, questo approccio sempre più martirologico dell’artista alla politica in tempi meloniani. Ghali fa una cosa alla Sarte probabilmente senza aver mai letto Sartre.

E una fotografia in cui Ghali s’abbraccia tentacolarmente a Roberto Saviano svela da chi, per osmosi, il cantante abbia assimilato il suo potente vittimismo. Il lungo, faticoso tragitto dell’intellettuale militantevreso le masse inizia per Ghali al Festival di Sanremo, laddove, cantando il brano Casa mia casa tua il rapper intona una strofa su un ospedale bombardato evidentemente a Gaza («Ma, come fate a dire che qui è tutto normale, per tracciare un confine con linee immaginarie, bombardate un ospedale»), roba che fa incazzare tutta la comunità ebraica. Dopodiché, il ragazzone lascia il palco gridando «Stop al genocidio», additando, di default, il popolo ebraico come un drappello d’assassini. E questo fa incazzare non solo l’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar (e quindi il governo di Tel Aviv che ha già i suoi problemi), ma pure metà stampa italiana, compresi gl’implacabili Giuseppe Cruciani e Nicola Porro; i quali dalle frequenze di Rete 4 analizzano il marketing politico un po’ grossolano del Ghali stesso. Qualche mese dopo, abbiamo notizie di Ghali attraverso un book fotografico su Instagram in cui il nostro fa sapere di essere volato alla Mecca, di sostare vicino alla Kaaba con indosso il tradizionale asciugamano bianco; e, da lì, di voler annunciare che «è il momento giusto per vivere la gratitudine che provo verso Dio».

Un geniale, icastico, perfetto Ramadan da copertina. E tutto questo proprio mentre nelle università italiane decine di musulmani assediavano le aule, piegandosi pure loro alla Mecca (e lasciando le donne fuori dalle porte) in nome di un fantascientifico «diritto al Ramadan». Affascinante strategia.

ALZARE L’ASTICELLA
La tempistica di Ghali è un passo di danza. Dall’alto dei suoi 45 dischi di Platino e 13 d’oro, per sua stessa ammissione Ghali pubblica lavori «d’impatto»; da dove afferma di puntare sempre ad «alzare l’asticella», incitando la «nuova Italia, che già esiste», a uscire allo scoperto. Per alcuni il suo essere «italiano a metà» gli consente libertà di critica e accuse di razzismo generalizzate elevate a passione artistica. Per altri, il suo essere «italiano a metà» è, banalmente, essere soltanto un «italiano in transito» che indossa sotto i suoi kaftani livori mai sopiti - e a volte comprensibili verso un’Italia, in fondo, sempre e comunque matrigna. Forse la verità è come Ghali, sta nel mezzo. Certo, ferma restando la assoluta libertà d’espressione, be’, qualche minchiatella in meno sarebbe auspicabile. Di Sarte - e dei suoi errori - ne bastava uno...

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