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Natasha Stefanenko, nostalgia comunista: il post su Facebook è un caso

martedì 28 ottobre 2025

2' di lettura

Lei, Natasha Stefanenko, è la russa più famosa d'Italia. Ex modella, showgirl e conduttrice, ormai italiana d'adozione ma con le radici ben salde nella sua terra, all'epoca Unione sovietica, dov'è nata 56 anni fa. Per 20 anni, insomma, ha vissuto pienamente nel regime comunista, nonché una delle due superpotenze mondiali. 

"Sono cresciuta a Sverdlovsk-45, vicino a Sverdlovsk negli Urali (oggi Ekaterinburg) - ha raccontato al Quotidiano nazionale -. La mia è una città senza nome, non esiste nelle cartine geografiche. La mia famiglia: mio padre Boris, ingegnere nucleare, mia madre Svetlana, insegnante e mia sorella Elena. Ci voleva un pass per entrare e uscire dalla città in cui si lavorava alla costruzione di un arsenale nucleare sovietico".

La sua infanzia è stata segnata dalle "barriere di filo spinato, i cani lupo ogni 100 metri e gli allarmi pronti a scattare". Ma non solo, perché come ha scritto in un post su Facebook in italiano e in cirillico, c'è stato ovviamente molto di più. La Stefanenko pubblica una sua foto da ragazzina, datata 1979: "Indosso la cravatta rossa da pioniere — un simbolo che, per chi è cresciuto nell’URSS, rappresentava appartenenza, disciplina e ideali collettivi. Faceva parte della nostra uniforme scolastica, ma anche di un’identità condivisa. Lo scatto risale ad un’epoca sovietica che oggi sembra lontana, ma che ha formato profondamente il nostro modo di pensare, di vivere, di essere".

"Crescevamo in un mondo dove tutto era condiviso: i sogni, le difficoltà, le speranze. Il pioniere non era solo una figura scolastica — era un piccolo ingranaggio di un grande progetto collettivo. Non avevamo molto, ma non ci sentivamo poveri. I giocattoli erano pochi, ma l’immaginazione era infinita. Le vacanze si passavano nei campi estivi, dove si imparava a vivere insieme. La libertà era diversa da quella che conosciamo oggi. Non era individuale, ma collettiva. E anche se oggi vediamo i limiti di quel sistema, molti di noi portano ancora nel cuore la forza di quei valori: solidarietà, resilienza, rispetto. Questo non è solo un ricordo. È una finestra su un mondo che ha plasmato tante vite. E ogni volta che la guardo, mi ricordo da dove vengo — e capisco un po’ meglio dove sto andando. P.s. Questo racconto non è una nostalgia politica, ma un ricordo personale. Il passato non si può cambiare, ma si può capire — e da lì, costruire ponti". Il post colleziona decine e decine di commenti, quasi tutti di encomio e con un misto di nostalgia e ammirazione per l'educazione comunista.

Qualcuno, ma sono pochi, fa notare come con la caduta del Muro di Berlino e il disfacimento del regime comunista anche a Mosca, migliaia e migliaia di russi si siano riversati nel "corrotto" Occidente. Eppure, nel suo piccolo, la "provocazione" della Stefanendo ha fatto emergere il cuore rosso di tanti comunisti di casa nostra. Che il regime stalinista non l'hanno mai vissuto tuttavia (o forse proprio per questo) continuano a sognarlo.

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