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Napolitano, bomba di Paolo Mieli: "Le registrazioni esistono ancora, verranno fuori"

sabato 23 settembre 2023

2' di lettura

Con la scomparsa di Giorgio Napolitano, se ne va anche un pezzo significativo della storia della nostra Repubblica. L'ex comunista è stato infatti il primo presidente a svolgere due mandati, complessivamente dal maggio 2006 fino al gennaio 2015. E, sui media, viene ricordata la sua grande figura di uomo di stato, sulla quale però aleggiano ancora alcuni misteri inconfessabili. Come i celebri colloqui telefonici con Nicola Mancino, l'ex ministro salito al Viminale il 1° luglio 1992. Secondo quanto sostenevano i Pm, il democristiano era a conoscenza della trattativa stato-mafia. E avrebbe nascosto i rapporti tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. Ma le telefonate tra i due non vennero mai rese pubbliche. Fino a essere ufficialmente distrutte nel vecchio carcere dell'Ucciardone il 22 aprile 2013.

L'argomento è stato a lungo dibattuto nel corso della puntata di venerdì 22 settembre a Otto e mezzo su La7. Incalzato dalle domande di Lilli Gruber, Paolo Mieli ha voluto esprimere il suo parere sui colloqui telefonici tra Napolitano e Mancino. "Secondo me quelle telefonate furono ufficialmente distrutte. Ma i testi e anche le registrazioni esistono ancora. È una mia supposizione. Quindi, prima o poi verrà fuori che il motivo per cui Napolitano non voleva che si conoscessero non è perché contenevano dei segreti sulla mafia. Forse contenevano dei giudizi che tra due grandi uomini di stato di solito si danno".

Guarda l'intervento di Paolo Mieli su Giorgio Napolitano a Otto e mezzo

Antonio Padellaro, dopo aver ascoltato il giudizio positivo che l'ex direttore del Corriere della Sera attribuisce al'ex Capo di stato, ha deciso di intervenire per rimettere le cose a posto. "Non fu una dimostrazione di rispetto da parte di Napolitano verso la magistratura di Palermo che in quel momento stava indagando su cose importanti. Lui non rispettava i magistrati: ha avuto sempre un motivo di contrasto e polemica nei confronti della magistratura che cercava di fare il suo mestiere".

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