L'architetto Novembre, uomo del Rinascimento rossonero
Per prima cosa l'architetto Fabio Novembre non è un architetto del menga, è un archistar. Che è come dire al macellaio che non vende fettine, ma solide realtà. Secondo: ieri sera, alle ore 20, Novembre era al centro sportivo «Vismara» a giocare a calcetto con gli amici suoi. Ci teneva a dirlo perché «io amo particolarmente questo sport, che è uno sport di squadra! Questo pianeta è uno sport di squadra! Per me il calcio è veramente uno sport meraviglioso». Per chi non l'avesse capito, a Novembre il calcio piace. In effetti la cosa non era scontata. Colui che ha realizzato questo po-po di sede aveva gli occhi addosso, soprattutto quelli di noialtri buzzurri scribacchini: «Ma cosa vuole questo qua? Cosa c'entra col sacro sport?». Ha provato a spiegarcelo. E ha vinto a mani basse il premio «personaggio del giorno» improvvisando una colossale supercazzola, troppo «alta» per chi all'arte predilige il bar sport (e cioè la quasi totalità dei presenti). Stralci di Novembre. «L'architettura non può avere scopi meramente funzionali, altrimenti la chiesa di Milano (Duomo ndr) non l'avremmo costruita in marmo di candoglia». E poi: «Mi considero antico. Son partito dal nome del nostro team. I latini dicevano nomen omen. Nella parola Milan, pensateci, c'è anche la parola uomo, c'è la parola man! Vogliamo inseguire una sorta di nuovo umanesimo nella visione nuova di questo club». E poi: «Pensate alle figure classiche delle Cariatidi, degli Omenoni. Servivano a dare una veste umana anche alle architetture più azzardate (...) Poi la parola man si streccia, diventa motions. Noi esseri umani abbiamo un lato a e b e due estremi, destro e sinistro, siamo un vettore». La faccenda del vettore spiazza definitivamente il giornalista sportivo. E ancora: «Le motions con una “e” davanti diventano emotions (...) Il simbolo del wi-fi è esattamente come il Milan oggi: il Milan è come un sasso nello stagno placido del calcio internazionale». Fino alla questione «piedi» «che sono la parte più imperfetta del nostro corpo e, pensate, calciano quel simbolo di perfezione che è la sfera, bellissima, poeticissima» e al gran finale: «Vi lascio con una citazione di George Bernard Shaw (da non confondere con Weah, da queste parti più conosciuto ndr): “Non si smette di giocare perché si invecchia, ma si invecchia perché si smette di giocare». I colleghi terrorizzati guardano i vicini come a dire «Tu hai capito? Me lo spieghi? Se mi interroga son fottuto». Ma per fortuna è il momento delle motions che lasciano spazio alle emotions, del man che corre verso gli Omenoni. Insomma: è arrivato il buffet. di Fabrizio Biasin