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Inter, Aldo Serena: "Se Inzaghi vuole vincere...", chi è la favorita per lo scudetto

di Leonardo Iannacci venerdì 19 agosto 2022

3' di lettura

Aldo Serena fa parte di un club ristretto: è uno dei sei giocatori italiani che, in un secolo di calcio italiano, hanno vinto lo scudetto con tre squadre diverse: nel caso di Aldo, sono Juve, Milan e Inter. Guarda caso, le papabili per lo scudetto 2023. Chi meglio di lui, quindi, può analizzare questa stramba stagione che il mondiale squarcerà a metà?

Aldo, partiamo dalla Juve? 
«Sì, la più incerottata. Ha per degenti Szczesny, Pogba, Chiesa e Di Maria. Quattro titolarissimi. Al loro rientro, con Paredes, diventerà la favorita. Il 4-3-3 con Pogba-Paredes-Locatelli sarà una mediana notevole».
Nessuna spina nella rosa della Juve? 
«Il terzino sinistro. Alex Sandro non è quello di prima».
La parola va alla difesa se analizziamo il Milan? 
«Il reparto sta prendendo qualche gol di troppo. Ma conosco bene Pioli, era il mio compagno di camera nella Juve del 1985 quando vincemmo scudetto e Coppa Intercontinentale. Stefano risolve molte cose con il dialogo».
Basta dialogare per vincere? 
«Certo che no. Ma quando hai di fronte un totem come Ibra, travolgente ma a volte scomodo, oppure un giovane talentoso come Leao, devi districarti con le parole, soppesarle. E Pioli, ponderato e scrupoloso, lo sa fare bene, è una garanzia. De Ketelaere? È un potenziale fenomeno».
Radar sull'Inter: cosa non ti è piaciuto della partita di Lecce? 
«La propensione della squadra ad allungarsi troppo. Difetto già emerso in pre-campionato. Perisic è una perdita gravissima, Gosens è un laterale diverso dal croato. E poi con Lukaku il gioco è cambiato, consiglio a Inzaghi di tenere più corta la squadra, più raccolta. Fossi in lui farei un ragionamento su come giocava l'Inter di Conte».
Provocazione: Lautaro ha giocato il suo miglior campionato quando non c'era Lukaku. 
«Parliamo di due grandi attaccanti. Però è vero. Da due mesi non si parla che di Lukaku e non vorrei che Lautaro soffrisse un po' questa situazione, Simone se lo deve coccolare».
La Roma vista a Salerno ti ha convinto a metà? 
«Era sbilanciata di proposito e, in mezzo, c'era un po' il vuoto. Giocando con Zaniolo e Dybala accanto ad Abraham è naturale che sia così, anche perché Pellegrini non è un mediano puro. Cristante, da solo, ha fatto gli straordinari. A un certo punto Mourinho ha dovuto equilibrare il centrocampo».
Domanda secca: può vincere lo scudetto? 
«Ne può essere l'entusiasmante alternativa. È una sfida. E nelle sfide Mou è il vero fenomeno del calcio moderno, sa cavalcare queste situazioni come nessuno. Se trova l'alchimia sarà uno spasso».
Il Napoli? Esplode oppure implode?
«Penso che alcuni giocatori arrivati non siano proprio quelli di prima fascia richiesti da Spalletti. Il presidente De Laurentis dà direttive che sono leggi speciali, tiene d'occhio i conti. Luciano, magari, pensava ad altri acquisti ma è bravo. Raspadori è interessante e il nuovo arrivato dal nome impronunciabile, Kvaratskhelia, può essere la scommessa più ponderata del campionato. Un consiglio, per voi giornalisti: trovategli un soprannome facile da scrivere».
La sorpresa per la zona coppe europee? Fiorentina? Lazio? La solita Atalanta?
«Sarri ha chiesto e ottenuto giocatori per il suo calcio. Italiano, che propone un gioco divertente, dovrà migliorare il rendimento della Fiorentina lungo i 90 minuti».
E l'Atalanta?
«Sartori non c'è più e Gasperini, il Sacchi del nuovo millennio, è un grande insegnante ma usurante. Alcuni giocatori dopo tre-quattro anni lasciano la compagnia».
La squadra simpatia?
«Il Monza. Fa giocare 7-8 italiani ogni partita, nel nostro campionato non sono più di due o tre per squadra. Mancini, così, è costretto ad arruolare azzurri anche dalla B o dalle Primavere».
Aldo, tu eri un centrattacco all'inglese: forte di testa, arrogante in area. In carriera hai segnato 161 gol di potenza. Chi è il tuo erede?
«Facile, Scamacca. Con il West Ham gioca all'inglese e migliorerà ancora».
Flash su Serena giocatore: il momento che non dimenticherai mai?
«Il primo gol in A, con l'Inter. Di sinistro, al Parma».
La delusione più cocente?
«Il rigore sbagliato nella semifinale di Italia '90 contro l'Argentina. Ero cotto, stravolto dall'ansia». 

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