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Italia, una casa di riposo: cosa rivelano le scelte di Mancini

di Claudio Savelli mercoledì 21 settembre 2022

3' di lettura

Più che il centro sportivo di una Nazionale, Coverciano pare una casa di riposo. Nel senso più letterale del termine: gli azzurri non ci vanno per alzare il livello competitivo della selezione azzurra ma per riposarsi dalle fatiche del campionato. Addirittura il ct, Roberto Mancini, ammette di «averne lasciati a casa alcuni bravi» perché «stanno giocando tanto, ogni tre giorni». Si riferisce al rossonero Calabria, finora ignorato? Non era comunque stato convocato prima di fermarsi in Milan-Napoli. Si riferisce ai giallorossi Mancini e Zaniolo? Sono due teorici punti fermi del nuovo corso azzurro ma non godono di grande fiducia. È tutto strano: se giocano poco non va bene perché arrivano in Nazionale fuori condizione, se giocano troppo nemmeno perché sono stanchi.

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Dell'Italia in cui tutti bramavano per giocare non c'è più traccia. I calciatori non lo ammetteranno mai ma è evidente che la priorità, in questo momento di «mancanza di entusiasmo» (parola di Raspadori), è il club di appartenenza. Non sono più le società a disposizione della Nazionale ma il contrario. Ne consegue che l'Italia non sfrutta a dovere il tempo che, suo malgrado, ha guadagnato con il Mondiale perso. L'assenza dei medio-lungo degenti Chiesa, Berardi, Florenzi e Locatelli, infatti, non è per forza un male, se usata come incentivo ad alcuni esperimenti. Ma le convocazioni sono pigre e puntano alla conservazione. Di cosa, non si sa.

C'è chi a Coverciano nemmeno ci mette piede. A questo giro, Verratti e Pellegrini sono stati rispediti a casa perché infortunati, anche se il giorno prima hanno giocato con Psg e Roma. Stesso destino per Politano, il cui acciacco però era stato presentato dal ct come «nulla di preoccupante».

FRATTESI E GABBIADINI
Al loro posto sono stati chiamati Esposito (Spal, era già in raduno con l'Under 21), Frattesi (Sassuolo) e Gabbiadini (Sampdoria), trentenne fuori dal giro azzurro da ormai 5 anni. C'è poi il caso limite della richiesta di non-convocazione: Spinazzola ha telefonato per chiedere «di non essere chiamato» in modo da «poter lavorare in queste due settimane». Così Mancini si dimostra comprensivo e fa gruppo, è vero, ma all'esterno passa l'idea che alcuni abbiano il posto assicurato e possano decidere se esserci o meno. La competitività, benzina necessaria per alimentare il motore di una Nazionale, svanisce.

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Si può pensare siano concessioni sensate in questo periodo privo di obiettivi concreti (il Mondiale è perso e verso la Nations League resta un certo snobismo), invece di obiettivi ce ne sarebbero. E pure importanti. Sarebbe il caso di sfruttare partite "di passaggio" come quelle contro l'Inghilterra (venerdì a San Siro) e l'Ungheria (lunedì) per costruire la squadra del futuro. Un futuro che non deve essere l'Europeo 2024 ma il Mondiale 2026 che, in caso di un nuovo biennio poco lungimirante, salteremo per la terza volta consecutiva. Perché il calcio ormai è questo, nulla è dovuto e tutto è da conquistare attraverso progetti seri, robusti e coraggiosi. Non è il massimo della vita nemmeno ricordare che «l'Italia non propone più grandi centravanti» e sentire Immobile che rimanda l'addio solo per una richiesta del ct. Uno come Raspadori, che ha cercato e compiuto il salto in una grande, non può essere di certo motivato da queste dichiarazioni. Non sarà il "nove" classico («Con un attaccante al fianco forse è meglio, ma ho sempre giocato da prima punta») ma è il migliore in circolazione: perché non dargli piena fiducia?

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