Colare a picco

Serie A, la fine del calcio italiano? Soldi, ecco perché siamo (quasi spacciati)

Gabriele Galluccio

La proroga al Decreto Crescita non s’ha da fare, la Superlega giammai. E allora il calcio italiano dove deve trovare i quattrini per non annegare? Al netto delle considerazioni politiche e sociali, è evidente che senza l’aiutino fiscale la Serie A è destinata a indebolirsi e impoverirsi, più di quanto non lo sia già in questo momento. È stata proprio l’abilità nello sfruttare il Decreto Crescita a permettere a molti club di rimanere competitivi o addirittura di salire di livello: l’Inter forse non sarebbe arrivata in finale di Champions League l’anno scorso, così come quest’anno non avrebbe preso Pavard e soprattutto Thuram, che sta facendo sfracelli in coppia con Lautaro. Il Milan magari non avrebbe convinto Pulisic, Lotfus-Cheek e Chukwueze a firmare in estate, mentre il Napoli non si sarebbe mai potuto permettere il rinnovo di Osimhen, che al lordo sarebbe costato 20 milioni anziché una dozzina.

Si potrebbero fare tanti altri esempi, ma è palese dove va a parare il discorso: gli sconti fiscali sugli stipendi dei calciatori provenienti dall’estero saranno pure “immorali” da un certo punto di vista, ma hanno consentito alle squadre italiane di spendere di meno o lo stesso, aumentando però la qualità della rosa. Venendo a mancare questo strumento - che prima sembrava destinato a essere prorogato per il calciomercato invernale, poi all’ultimo è saltato del tutto- è chiaro che i club dovranno rivedere le strategie e accontentarsi delle briciole.

La visione dietro l’abolizione del Decreto Crescita non è neanche sbagliata, perché al momento la Serie A è il campionato che usa di più gli stranieri (65% dei minuti) e quindi l’intenzione è di offrire maggiori possibilità agli italiani, meglio ancora se giovani e con un potenziale da Nazionale. Fonti di governo fanno sapere che è stato Matteo Salvini a imporsi in Consiglio dei ministri per evitare ulteriori sconti agli stranieri, definendoli «immorali». Sulla stessa lunghezza d’onda l’altro vicepremier, Antonio Tajani: «Era un principo e non è stata fatta una deroga per alcuni mesi».

 

SCELTA POLITICA
A lungo termine è una scelta politica che potrà anche dare i suoi frutti, ma nell’immediato è oggettivamente un disastro per i club: non arriveranno più i Lukaku e i Thuram, così come non verranno più rinnovati a certe cifre i Leao, i Rabiot e gli Osimhen. L’unico motivo per il quale calciatori di tale livello hanno accettato di giocare in Serie A o di rimanerci risiede nei super stipendi offerti dai club grazie al Decreto Crescita.

Nelle stesse ore in cui la mini-proroga saltava, la Figc ha deciso di dare il colpo di grazia a chi stava pensando di unirsi alla Superlega, che sulla carta offre un’allettante opportunità di rilancio economico a chi è in difficoltà. Premettendo che forse la Superlega non vedrà mai neanche la luce, per il malo modo in cui è entrata in scena nel 2021 e per il muro eretto prontamente dalla Uefa, è inevitabile che in futuro nasca una competizione parallela a quelle “classiche” che garantisca molti più soldi alle squadre partecipanti e che metta d’accordo i top club europei. Nel frattempo la Figc ha trovato un modo per vietare ufficialmente la Superlega: entro il 4 giugno i club di Serie A dovranno presentare la domanda di ammissione al prossimo campionato con la richiesta di concessione della licenza nazionale e l’impegno a non partecipare competizioni estranee a Fifa, Figc e Uefa. Chi non lo farà, verrà automaticamente escluso dal campionato 2024-25.