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Jannik Sinner, risposta chiara: "Italiano al 100%?", critici ammutoliti

Roberto Tortora
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Più vince, più nascono discussioni su di lui che non hanno nulla a che vedere con lo sport. Jannik Sinner si sta ormai abituando velocemente agli eccessi del risalto mediatico. Così, riempito di domande che scavano nella sua vita e nella sua storia, si è ritrovato a dover spiegare anche se si sia sempre sentito italiano al 100%, lui che è altoatesino di San Candido, in provincia di Bolzano e che è cresciuto di madrelingua tedesca, infatti da piccolo non parlava in italiano: "Sempre, e sono molto orgoglioso di esserlo: a 7 anni facevo i campionati di sci coi ragazzini italiani, a 14 in Liguria i miei compagni erano italiani. Ma poi, noi parliamo il nostro dialetto tedesco, ma anche in Sicilia parlano un dialetto che nelle altre parti d'Italia non capiscono, no?".

Una risposta che dovrebbe essere scontata, ma che in Italia purtroppo non lo è mai. Poco importa, comunque, perché Sinner può godersi il suo posto numero 3 nella galassia del tennis mondiale, dopo i tronfi di Melbourne e Rotterdam che hanno incorniciato un 2024, fin qui, perfetto. E Carlos Alcaraz, secondo e distante solo 835 punti, può essere già nel mirino di Jannik, ambizioso e mai pago dei suoi risultati. Come lui solo Pietrangeli nell’era pre-Open, quando le classifiche erano redatte a mano e la graduatoria annuale finale veniva stilata dai giornalisti. In un’intervista a Vanity Fair, Sinner spiega la sua maniacalità nel lavoro: “Devo ancora lavorare, prepararmi a tutto, perché ormai gli avversari mi conoscono bene, anche le mie debolezze. Quanto curo il mio corpo? In questo momento ci sto attento al 100%. Per esempio: domenica ho giocato la finale a Melbourne, il giorno dopo sono volato in Italia e la mattina seguente sono andato subito in palestra. Non ho festeggiato in modo esagerato, non ho bevuto, perché non fa bene al corpo. Siamo andati a mangiare qualcosa e poi sono tornato in hotel. Abbracciato alla coppa? No, l'avevo lasciata al mio manager".

 

 


La differenza con sportivi e atleti che abbracciano maggiormente i riflettori della gloria, infine, sta tutta nella sua mentalità: “Tutte le partite che si vincono, non si vincono nel giorno in cui si disputano. Si vincono preparandosi per mesi, forse anni, lavorando per quella partita. Vedremo se questo lavoro servirà anche al primo fallimento, vedremo come reagirò. Ma non ho paura di sbagliare, non ci penso. Non vedo che senso abbia pensarci. Quando diventerò il numero uno al mondo? Il futuro non si può prevedere. Sicuramente è un sogno e stiamo lavorando per andarci il più vicino possibile. Scommetterci un euro? Non mi sono mai piaciute le scommesse…".

 

 

 

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