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Gimbo Tamberi e il dominio azzurro: quei 15 milioni dietro al miracolo

Federico Danesi
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Ci sono almeno 15 milioni di motivi per celebrare i trionfi dell’atletica azzurra a Roma. Anzi, 15.151.029, come gli euro che Sport e Salute ha stanziato come contributi alla Fidal per il 2024. Numeri che la pongono al terzo posto in Italia, nettamente dietro al calcio e vicina alla pallavolo.

Ma è anche l’unica ad essere cresciuta di oltre 2 milioni rispetto all’anno prima, a testimonianza di un movimento vivo e vivace. Perché se l’Italia continua piacevolmente a stupirsi di essere rappresentata da una generazione di fenomeni, la pista, i lanci e la strada stanno facendo ampiamente la loro parte. Accanto a Jannik Sinner e Pippo Ganna, Simona Quadarella e Thomas Ceccon, Gregorio Paltrinieri e Pecco Bagnaia, Sofia Goggia e Federica Brignone più tutti gli altri che non citiamo solo perché l’elenco sarebbe lunghissimo, ci sono anche loro.

Gimbo Tamberi e Marcell Jacobs, d’accordo. Antonella Palmisano che è tornata a livelli altissimi e Yeman Crippa che si è confermato a distanza di due anni anche se ha allungato il tiro. Va bene, ma qui ’è molto di più e c’è della gioventù che avanza, il segnale migliore ragionando in prospettiva di Los Angeles 2028 quando Tamberi avrà 36 anni, Jacobs 34 e la Palmisano 37.

 

DAL PUNTO PIÙ BASSO...
Altri sport non hanno saputo rinnovarsi e innovare. Lo dimostra la cronica crisi, con qualche rara eccezione, dello sci maschile e del fondo giusto per fare un paio di esempi. L’atletica sì, perché aveva toccato uno dei punti più bassi della sua storia nel secondo decennio del secolo. Un punto di non ritorno che invece è stato uno stimolo. E così siamo passato dalle tre medaglie degli Europei 2014 di Zurigo e dallo zero dei Mondiali di Pechino l’anno dopo al bottino fantascientifico (24 medaglie complessive) di questa rassegna continentale. Nemmeno Stefano Mei, che pure ragiona sempre con sano ottimismo, poteva sperare tanto e in sede di bilancio l’ha fatto capire ringraziando commosso i suoi ragazzi: «Tokyo, Monaco, Budapest ed Eugene non sono stati un caso.

Ora abbiamo confermato la tendenza del 2023: siamo la nazione più forte d’Europa. A Parigi c’è la possibilità di fare anche meglio del Giappone e quindi una medaglia in più delle cinque di Tokyo. Vogliamo dare l’immagine di un’atletica maturata». In realtà l’hanno già fatto, nonostante tutti sappiano bene che la concorrenza sarà diversa e nettamente più qualificata. Dal non ritorno al punto di svolta sono passati sei anni grazie ad una rivoluzione cominciata da Alfio Giomi e continuata da Mei. Il punto di contatto è Antonio La Torre, direttore tecnico delle Nazionali assolute.

Come vincere i Mondiali lo sapeva già, da tecnico di Ivano Brugnetti nella 50 km a Siviglia 1999 e poi campione olimpico nella 20 km ad Atene 2004. Come risollevare l’Italia un po’ meno, ma ha adottato un metodo.

Non più ognuno per sé, anche se gli atleti e i loro tecnici personali godono di libertà assoluta. Ma tutti focalizzati sugli stessi obiettivi, con un sistema di lavoro comune. Solo così potevano non essere disperse le ricchezze che l’Italia ha sempre avuto, come i Centri di Preparazione a Formia a Tirrenia, all’Acqua Acetosa romana, e che rischiavano di diventare cattedra li nel deserto.

 

SANO REALISMO
La Torre come Cesare Butini nel nuoto, ma in fondo anche come Maurizio Viscidi nel calcio e lo stiamo vedendo finalmente con i risultati in serie delle Nazionali giovanili. Un po’ allenatori, un po’ manager, molto innamorati del loro sport. Lui per primo mette le mani avanti: «Spero che tutti pos sano migliorare per Parigi. Mi aspetto tanto, ma dobbiamo sa per mettere a fuoco in quale altro contesto andremo». Solo sano realismo pragmatico anche se ora sa di aver sgrezzato talenti come Si monelli e Iapichino, Ali e Furlani, con molti altri che spingono dal basso e sono (quasi) pronti per il grande salto. Un salto quello tri plo, nel quale a Parigi l’Italia potrà giocarsi un’altra carta importante come Andy Diaz, il cubano che finalmente a pochi giorni dalle Olimpiadi sarà italiano a tutti gli effetti. Ha scelto noi, ha fatto bene.

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