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Ibra e Guardiola, faccia a faccia dopo gli insulti: gelo a bordo campo

Roberto Tortora
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C’eravamo tanto… odiati, stiamo parlando di Pep Guardiola e Zlatan Ibrahimovic, mai stati grandi amici. Eppure costretti a rivedersi, dopo tanto tempo, a New York in occasione dell’amichevole estiva tra il Milan e il Manchester City. Vinta, per la cronaca, dai rossoneri 3-2.

Ora lo svedese non è più in campo, ma dietro la scrivania del Diavolo e l’incontro con Pep sa tanto di diplomazia dirigenziale: qualche sorriso di circostanza, zero contatto visivo e un evidente imbarazzo tra i due. Dopo un abbraccio, hanno avuto una breve conversazione e poi le strade dei due si sono separate. Di nuovo, a 14 anni dall'esperienza che hanno condiviso al Barcellona. Solo una stagione, ma è bastata per farli esplodere.

 

 

 

Era l’estate del 2009, Zlatan Ibrahimovic comincia il ritiro con l’Inter e poi, sempre dagli Stati Uniti, fa le valigie e se ne va al Barcellona, mentre dal lato blaugrana è il camerunense Eto’o a fare il viaggio in direzione opposta. Nello scambio, dieci mesi dopo, ci andò decisamente meglio la squadra di Mourinho, capace di conquistare uno storico Triplete.

 

 

 

Così, dopo un solo anno, Ibra fa ritorno in Italia, questa volta al Milan, e nel frattempo pubblica la sua biografia dal titolo abbastanza egocentrico: Io, Ibra, in cui svela i dissapori con l’allenatore che ha rivoluzionato il calcio degli ultimi vent’anni. Definito da Zlatan “filosofo” e al quale mosse l’accusa di essere diventato un giocatore peggiore per colpa sua. In un’intervista recente al format britannico Piers Morgan Uncensored Ibrahimovic ha ribadito l’antipatia per Guardiola: “Penso che Guardiola sia un grande allenatore. Se guardi la sua carriera e prendi gli ultimi 10-15 anni, ha sempre fatto grandi risultati. Penso che non sia mai andato sotto il secondo posto. Ma oltre all’allenatore, c’è la persona. Io guardo tutti negli occhi e capisco se c’è un problema o meno. Mi serve un secondo per andare al punto e risolvere un problema. Ricordo che prima che andassi al Barcellona, i media dicevano che ero troppo diverso per quel contesto. Il mio errore è stato quello di voler entrare in quella mentalità per quello che sono io. Non potevo essere qualcuno di diverso. A Guardiola gli ho detto di essere sincero con me e di dirmi le cose direttamente. Io risolvo i problemi. Non ero lì per creare problemi, ma per risolverli. Ero lì per realizzare il mio sogno, ma lui non l’ha fatto. I primi sei mesi le cose sono andate benissimo… gli ho detto che avevo bisogno del mio spazio per fare il mio calcio, cosa che non riuscivo più a fare dopo il cambio di posizione di Messi. Abbiamo parlato in maniera normale. Non abbiamo mai avuto problemi a livello di rapporto allenatore-giocatore. Lui mi ha detto che avrebbe preso in considerazione queste mie necessità".

"La prima partita dopo il colloquio, panchina… seconda partita, panchina. Terza partita, panchina… lui era l’allenatore, il boss, ma questa cosa non poteva essere ok. C’era la sala colazione dove ci trovavamo tutti e lui faceva dentro e fuori dalla stanza quando c’ero io. In campo non c’era mai una connessione visiva tra di noi. Mi evitava e li ho notato che c’era qualcosa oltre il giocatore. È stato un codardo perché non si è voluto confrontare direttamente con me. Ha usato “i suoi ragazzi” per risolvere i suoi problemi…. io penso che sia un allenatore fantastico, che ha cambiato il gioco. Come uomo… Non è quello che ho conosciuto. Ma sono contento per lui. Abbiamo condiviso lo stesso sogno. Non ha avuto il coraggio di confrontarsi con me, è sempre scappato via dal confronto”.

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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